''Decàmeron'' di Giovanni Boccaccio (superiori)
Decameron | |
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Giovanni Boccaccio presenta il Decameron | |
Autore | Giovanni Boccaccio |
1ª ed. originale | 1350-1353 |
Genere | raccolta di novelle |
Lingua originale | italiano |
Ambientazione | Firenze |
«Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si contengono cento novelle in dieci dì dette da sette donne e da tre giovani uomini.» |
(Giovanni Boccaccio, Decamerone, incipit proemiale) |
Il Decameron, o Decamerone è una raccolta di cento novelle scritta da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo, probabilmente tra il 1349 (anno successivo alla peste nera in Europa) e il 1351 (secondo la tesi di Vittore Branca) o il 1353 (secondo la tesi di Giuseppe Billanovich). Anche se il primo a capire che si trattava di un testo autografo fu Alberto Chiari, Vittore Branca nel 1962 dimostrò come il codice Hamilton 90, conservato a Berlino, fosse un prezioso autografo risalente agli ultimi anni di vita del Boccaccio.
È considerata una delle opere più importanti della letteratura del Trecento europeo, durante il quale esercitò una vasta influenza sulle opere di altri autori (si pensi ai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer), oltre che la capostipite della letteratura in prosa in volgare italiano. Per le sue caratteristiche salienti l'opera di Boccaccio va certamente annoverata tra le opere che ispirarono l'ideale di vita edonistica tipico della cultura umanista e rinascimentale, che auspicava un'esistenza dedicata al piacere ed al culto del viver sereno (questo ideale si può considerare ben sintetizzato ed espresso nel celebre Trionfo di Bacco e Arianna, composizione poetica di Lorenzo de' Medici).
Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che per dieci giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera che in quel periodo imperversava nella città, e che a turno si raccontano delle novelle di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami all'erotismo bucolico del tempo. Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di scandalo, e fu in molte epoche censurato o comunque non adeguatamente considerato nella storia della letteratura. Il Decameron fu anche ripreso in versione cinematografica da diversi registi, tra cui Pier Paolo Pasolini e i fratelli Taviani.
L'Autore
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«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.» |
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio) |
Giovanni Boccaccio (Certaldo, 16 giugno 1313 – Certaldo, 21 dicembre 1375) è stato uno scrittore e poeta italiano. Conosciuto anche per antonomasia come il Certaldese, fu una delle figure più importanti nel panorama letterario europeo del XIV secolo. Alcuni studiosi (tra i quali Vittore Branca) lo definiscono come il maggior narratore europeo del suo tempo, uno scrittore versatile che amalgamò tendenze e generi letterari diversi facendoli confluire in opere originali, grazie a un'attività creativa esercitata all'insegna dello sperimentalismo.
La sua opera più celebre è il Decameron, raccolta di novelle che nei secoli successivi fu elemento determinante per la tradizione letteraria italiana, soprattutto dopo che nel XVI secolo Pietro Bembo elevò lo stile boccacciano a modello della prosa italiana. L'influenza delle opere di Boccaccio non si limitò al panorama culturale italiano ma si estese al resto dell'Europa, esercitando influsso su autori come Geoffrey Chaucer, figura chiave della letteratura inglese, o più tardi su Miguel de Cervantes, Lope de Vega e il teatro classico spagnolo.
Giovanni Boccaccio insieme a Dante Alighieri e Francesco Petrarca fa parte delle cosiddette «Tre corone» della letteratura italiana. È inoltre ricordato per essere uno dei precursori dell'umanesimo, del quale contribuì a gettare le basi presso la città di Firenze, in concomitanza con l'attività del suo contemporaneo amico e maestro Petrarca. Fu anche colui che diede inizio alla critica e filologia dantesca: Boccaccio si dedicò a ricopiare codici della Divina Commedia e fu anche un promotore dell'opera e della figura di Dante: a Boccaccio si deve infatti l'epiteto divina, attributo con cui è divenuta nota la Commedia.
Nel Novecento Boccaccio fu oggetto di studi critico-filologici da parte di Vittore Branca e Giuseppe Billanovich, e il suo Decameron fu anche trasposto sul grande schermo dal regista e scrittore Pier Paolo Pasolini.
La Trama
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All'interno del Decameron, Boccaccio immagina come, durante il periodo in cui la peste devasta Firenze (1348), una brigata di sette ragazze e tre ragazzi, tutti di elevata condizione sociale, decidano di cercare una possibilità di fuga dal contagio spostandosi in campagna. Qui questi dieci giovani trascorrono il tempo secondo precise regole, tra canti, balli e giochi. Notevole importanza, come vedremo dopo, assumono anche le preghiere.
Per occupare le prime ore pomeridiane, i ragazzi decidono di raccontare una novella ciascuno, tranne il venerdì ed il sabato, secondo precisi rituali: per esempio, l'elezione quotidiana di un re che fisserà il tema della giornata a cui tutti gli altri narratori dovranno ispirarsi nei loro racconti. Al solo Dioneo, per la sua giovane età, è concesso di non rispettare il tema delle giornate; dovrà però novellare sempre per ultimo (Privilegio di Dioneo). La prima e la nona giornata hanno un tema libero.
Si sono date molteplici interpretazioni degli strani nomi attribuiti ai narratori, in gran parte riecheggianti etimologie greche: Pampinea ("la rigogliosa"), Filomena ("amante del canto", oppure "colei che è amata"), Neifile ("nuova amante"), Filostrato ("vinto d'amore"), Fiammetta (la donna amata da Boccaccio), Elissa (l'altro nome di Didone, la regina dell'Eneide di Virgilio), Dioneo ("lussurioso", da Diona, madre di Venere; spurcissimus dyoneus si definiva Boccaccio in una lettera giovanile), Lauretta (come Laura de Noves, la donna simbolo di Petrarca), Emilia e Panfilo (il "Tutto Amore", che infatti racconterà spesso novelle ad alto contenuto erotico).
Nel Decamerone le cento novelle, pur avendo spesso in comune il tema, sono diversissime l'una dall'altra, poiché l'autore vuol rappresentare la vita di tutti i giorni nella sua grande varietà di tipi umani, di atteggiamenti morali e psicologici, di virtù e di vizio; ne deriva che il Decameron offre una straordinaria panoramica della civiltà del Trecento: in quest'epoca l'uomo borghese cercava di creare un rapporto fra l'armonia, la realtà del profitto e gli ideali della nobiltà cavalleresca ormai finita.
Come scritto nella conclusione dell'opera, i temi che Boccaccio voleva illustrare al popolo sono essenzialmente due. In primo luogo, infatti, Boccaccio voleva mostrare ai fiorentini che è possibile rialzarsi da qualunque disgrazia si venga colpiti, proprio come fanno i dieci giovani con la peste che si abbatte in quel periodo sulla città. Il secondo tema, invece, è legato al rispetto e ai riguardi di Boccaccio nei confronti delle donne: egli infatti scrive che quest'opera è dedicata a loro che, a quel tempo, erano le persone che leggevano maggiormente e avevano più tempo per dedicarsi alla lettura delle sue opere.
Riguardo alla struttura complessiva dell'opera, sono state formulate numerose interpretazioni. Tra queste segnaliamo quella del filologo Vittore Branca, che ipotizzò una struttura ascensionale dell'opera, in cui vengono contrapposti l'esempio negativo fornito da ser Ciappelletto, protagonista della prima novella della prima giornata, con quello positivo fornito da Griselda, personaggio dell'ultima novella dell'opera (e in generale dai protagonisti di tutta la decima giornata, in cui si trattano esempi di liberalità e magnificenza). Altri italianisti, quali Alberto Asor Rosa, hanno ipotizzato una strutturazione del Decameron per "grappoli tematici", formati da più giornate caratterizzate da tematiche simili. Infine, il critico Ferdinando Neri tentò di dividere l'opera in due parti di cinque giornate ciascuna, a cui la Prima e la Sesta giornata fungono da introduzione.
Il Brano: "Landolfo Ruffolo" dal Decàmeron, Seconda Giornata
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Filomena, Regina della Seconda Giornata, decide l'Argomento: "si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia oltre alla sua speranza riuscito a lieto fine", cioè si dovranno raccontare le vicende di chi, tormentato dalla Fortuna Avversa, riesce sorprendentemente a risolvere con esito Felice i Propri Problemi.
Tra le Storie della Seconda Giornata emergono quelle di Rinaldo d'Asti, di Andreuccio da Perugia, della Sposa Bartolomea e del Ricco mercante Landolfo Rufolo, che, diventato pirata viene a sua volta fatto prigioniero da altri corsari e, quando tutto appare ormai perduto, viene soccorso dalla fortuna.
Il personaggio vive avventure pittoresche, ricche di colpi di scena, più volte si trova in balia di eventi sciagurati e quando ormai sembra che non possa sfuggire a un destino misero e infelice, sopraggiunge un inatteso rovesciamento della situazione che conduce positivamente gli eventi.
«Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la piú dilettevole parte d’Italia; nella quale assai presso a Salerno è una costa sopra il mare riguardante, la quale gli abitanti chiamano la Costa d’Amalfi, piena di piccole cittá, di giardini e di fontane e d’uomini ricchi e procaccianti in atto di mercatantia sí come alcuni altri. Tra le quali cittadette n’è una chiamata Ravello, nella quale, come che oggi v’abbia di ricchi uomini, ve n’ebbe giá uno il quale fu ricchissimo, chiamato Landolfo Rufolo; al quale non bastando la sua ricchezza, disiderando di raddoppiarla, venne presso che fatto di perder con tutta quella se stesso. Costui adunque, sí come usanza suole esser de’ mercatanti, fatti suoi avvisi, comperò un grandissimo legno e quello tutto, di suoi denari, caricò di varie mercatantie ed andonne con esse in Cipri. Quivi, con quelle qualitá medesime di mercatantie che egli aveva portate, trovò essere piú altri legni venuti; per la qual cagione non solamente gli convenne far gran mercato di ciò che portato avea, ma quasi, se spacciar volle le cose sue, gliele convenne gittar via, laonde egli fu vicino al disertarsi. E portando egli di questa cosa seco grandissima noia, non sappiendo che farsi e veggendosi di ricchissimo uomo in brieve tempo quasi povero divenuto, pensò o morire o rubando ristorare i danni suoi, acciò che lá onde ricco partito s’era povero non tornasse. E trovato comperatore del suo gran legno, con quegli denari e con gli altri che della sua mercatantia avuti avea comperò un legnetto sottile da corseggiare, e quello d’ogni cosa opportuna a tal servigio armò e guernì ottimamente, e diessi a far sua della roba d’ogni uomo, e massimamente sopra i turchi. Al qual servigio gli fu molto piú la fortuna benivola che alla mercatantia stata non era. Egli, forse infra uno anno, rubò e prese tanti legni di turchi, che egli si trovò non solamente avere racquistato il suo che in mercatantia avea perduto, ma di gran lunga quello aver raddoppiato. Per la qual cosa, gastigato dal primo dolore della perdita, conoscendo che egli aveva assai, per non incappar nel secondo, a se medesimo dimostrò, quello che aveva, senza voler piú, dovergli bastare, e per ciò si dispose di tornarsi con esso a casa sua: e pauroso della mercatantia, non s’impacciò d’investire altramenti i suoi denari, ma con quello legnetto col quale guadagnati gli avea, dato de’ remi in acqua, si mise al ritornare. E giá nell’Arcipelago venuto, levandosi la sera uno scilocco il quale non solamente era contrario al suo cammino, ma ancora faceva grossissimo il mare, il quale il suo piccolo legno non avrebbe bene potuto comportare, in un seno di mare il quale una piccola isoletta faceva, da quel vento coperto si raccolse, quivi proponendo d’aspettarlo migliore. Nel quale seno poco stante due gran cocche di genovesi le quali venivano di Costantinopoli, per fuggire quello che Landolfo fuggito avea, con fatica pervennero; le genti delle quali, veduto il legnetto e chiusagli la via da potersi partire, udendo di cui egli era e giá per fama conoscendol ricchissimo, sí come uomini naturalmente vaghi di pecunia e rapaci, a doverlo aver si disposero. E messa in terra parte della lor gente con balestra e bene armata, in parte la fecero andare che del legnetto niuna persona, se saettato esser non volea, poteva discendere: ed essi, fattisi tirare a’ paliscalmi ed aiutati dal mare, s’accostarono al piccol legno di Landolfo, e quello con piccola fatica in piccolo spazio, con tutta la ciurma senza perderne uomo, ebbero a man salva; e fatto venire sopra l’una delle lor cocche Landolfo ed ogni cosa del legnetto tolta, quello sfondolarono, lui in un povero farsettino ritenendo. Il di seguente, mutatosi il vento, le cocche ver’ Ponente venendo fêr vela, e tutto quel di prosperamente vennero al lor viaggio: ma nel fare della sera si mise un vento tempestoso, il qual faccendo i mari altissimi divise le due cocche l’una dall’altra. E per forza di questo vento addivenne che quella sopra la quale era il misero e povero Landolfo con grandissimo impeto di sopra all’isola di Cifalonia percosse in una secca, e non altramenti che un vetro percosso ad un muro tutta s’aperse e si stritolò; di che i miseri dolenti che sopra quella erano, essendo giá il mare tutto pieno di mercatante che notavano e di casse e di tavole, come in cosí fatti casi suole avvenire, quantunque oscurissima notte fosse ed il mare grossissimo e gonfiato, notando quegli che notar sapevano, s’incominciarono ad appiccare a quelle cose che per ventura lor si paravan davanti. Intra li quali il misero Landolfo, ancora che molte volte il dì davanti la morte chiamata avesse, seco eleggendo di volerla piú tosto che di tornare a casa sua povero come si vedea, veggendola presta n’ebbe paura, e come gli altri, venutagli alle mani una tavola, a quella s’appiccò, se forse Iddio, indugiando egli l’affogare, gli mandasse qualche aiuto allo scampo suo: ed a cavallo a quella, come meglio poteva, veggendosi sospinto dal mare e dal vento ora in qua ed ora in lá, si sostenne infino al chiaro giorno. Il quale venuto, guardandosi egli da torno, niuna cosa altro che nuvoli e mare vedea, ed una cassa la quale sopra l’onde del mare notando talvolta con grandissima paura di lui gli s’appressava, temendo non quella cassa forse il percotesse per modo che gli noiasse: e sempre che presso gli venia, quando potea, con la mano, come che poca forza n’avesse, l’allontanava. Ma come che il fatto s’andasse, addivenne che, solutosi subitamente nell’aere un groppo di vento e percosso nel mare, sì grande in questa cassa diede, e la cassa nella tavola sopra la quale Landolfo era, che, riversata, per forza Landolfo, lasciatala, andò sotto l’onde e ritornò suso notando, piú da paura che da forza aiutato, e vide da sé molto dilungata la tavola; per che, temendo non potere ad essa pervenire, s’appressò alla cassa la quale gli era assai vicina, e sopra il coperchio di quella posto il petto, come meglio poteva, con le braccia la reggeva diritta. Ed in questa maniera, gittato dal mare ora in qua ed ora in lá, senza mangiare, sí come colui che non aveva che, e bevendo piú che non avrebbe voluto, senza sapere ove si fosse o vedere altro che mare, dimorò tutto quel giorno e la notte vegnente. Il dì seguente appresso, o piacer di Dio o forza di vento che il facesse, costui, divenuto quasi una spugna, tenendo forte con ammendune le mani gli orli della cassa a quella guisa che far veggiamo a coloro che per affogar sono quando prendono alcuna cosa, pervenne al lito dell’isola di Gurfo, dove una povera feminetta per ventura suoi stovigli con la rena e con l’acqua salsa lavava e facea belli. La quale, come vide costui avvicinarsi, non conoscendo in lui alcuna forma, dubitando e gridando si trasse indietro. Questi non potea favellare e poco vedea, e per ciò niente le disse: ma pur, mandandolo verso la terra il mare, costei conobbe la forma della cassa, e piú sottilmente guardando e veggendo, conobbe primieramente le braccia stese sopra la cassa, quindi appresso ravvisò la faccia, e quello esser che era s’imaginò. Per che, da compassion mossa, fattasi alquanto per lo mare che giá era tranquillo, e per li capelli presolo, con tutta la cassa il tirò in terra, e quivi con fatica le mani dalla cassa sviluppatogli, e quella posta in capo ad una sua figlioletta che con lei era, lui come un piccol fanciullo ne portò nella terra, ed in una stufa messolo, tanto lo stropicciò e con acqua calda lavò, che in lui ritornò lo smarrito calore ed alquante delle perdute forze: e quando tempo le parve trattonelo, con alquanto di buon vino e di confetto il riconfortò, ed alcun giorno come potè il meglio il tenne, tanto che esso, le forze recuperate, conobbe lá dove era. Per che alla buona femina parve di dovergli la sua cassa rendere, la qual salvata gli avea, e di dirgli che omai procacciasse sua ventura; e cosí fece. Costui, che di cassa non si ricordava, pur la prese, presentandogliele la buona femina, avvisando quella non potere sì poco valere, che alcun di non gli facesse le spese; e trovandola molto leggera, assai mancò della sua speranza: nondimeno, non essendo la buona femina in casa, la sconficcò per vedere che dentro vi fosse, e trovò in quella molte preziose pietre, e legate e sciolte, delle quali egli alquanto s’intendea. Le quali veggendo e di gran valor conoscendole, lodando Iddio che ancora abbandonare non l’aveva voluto, tutto si riconfortò: ma sí come colui che in piccol tempo fieramente era stato balestrato dalla fortuna due volte, dubitando della terza, pensò convenirgli molta cautela avere a voler quelle cose poter conducere a casa sua; per che in alcuni stracci come meglio potè ravvoltele, disse alla buona femina che piú di cassa non aveva bisogno, ma che, se le piacesse, un sacco gli donasse ed avessesi quella. La buona femina il fece volentieri; e costui, rendutele quelle grazie le quali poteva maggiori del beneficio da lei ricevuto, recatosi suo sacco in collo, da lei si partì: e montato sopra una barca, passò a Brandizio e di quindi marina marina si condusse infino a Trani, dove trovati de’ suoi cittadini li quali eran drappieri, quasi per l’amor di Dio fu da lor rivestito, avendo esso giá loro tutti li suoi accidenti narrati, fuori che della cassa; ed oltre a questo, prestatogli cavallo e datagli compagnia, infino a Ravello, dove del tutto diceva di voler tornare, il rimandarono. Quivi parendogli esser sicuro, ringraziando Iddio che condotto ve l’avea, sciolse il suo sacchetto, e con piú diligenza cercata ogni cosa che prima fatto non avea, trovò sé avere tante e sì fatte pietre, che, a convenevole pregio vendendole ed ancor meno, egli era il doppio piú ricco che quando partito s’era. E trovato modo di spacciar le sue pietre, infino a Gurfo mandò una buona quantitá di denari, per merito del servigio ricevuto, alla buona femina che di mare l’avea tratto, ed il simigliante fece a Trani a coloro che rivestito l’aveano; ed il rimanente, senza piú voler mercatare, si ritenne, ed onorevolemente visse infino alla fine.» |