Grazia Deledda (superiori)

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Grazia Deledda (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura italiana per le superiori 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Autrice di romanzi per lo più ambientati nella natia Sardegna, Grazia Deledda parte da modelli veristi per sviluppare una letteratura per certi versi avvicinabile al decadentismo, che scava nell'anima dei personaggi per portare alla luce la condizione dell'uomo moderno, segnata dalla solitudine e dall'incomunicabilità tra le persone. Il valore della sua opera le darà grande fama sia in Italia sia fuori, e le varrà il premio Nobel per la letteratura.

La Vita[modifica]

Grazia Deledda nel 1926

Grazia Maria Cosima Damiana Deledda nasce a Nuoro il 27 dicembre 1871. Cresce in un ambiente famigliare chiuso, dominato da pregiudizi e principi morali arcaici, a causa dei quali le viene impedito di proseguire gli studi una volta terminate le scuole elementari. Riesce comunque a farsi dare lezioni private e inizia a leggere, in modo disorganico ma con costanza, opere letterarie. Durante l'adolescenza prosegue così la sua formazione da autodidatta e manifesta i primi segni della sua vocazione per la scrittura. Di indole introversa e sognante, inizia a pubblicare brevi racconti e novelle su giornali locali, incorrendo nel disappunto dei parenti e dei compaesani. Le sue prime prove sono caratterizzate da un generico romanticismo e risentono dell'influsso dei contemporanei Fogazzaro e D'Annunzio. Con la morte del padre nel 1892 la sua attività di scrittrice diventa più intensa. Nel 1900 si trasferisce a Roma con il marito, un funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari. All'inizio del nuovo secolo si collocano le sue opere principali, che le daranno grande fama anche fuori dall'Italia. Nel 1926 viene insignita del premio Nobel per la letteratura, seconda italiana dopo Carducci a ricevere questo riconoscimento. Muore a Roma il 15 agosto 1936.[1]

Tra Verismo e Decadentismo[modifica]

Nella sua produzione Grazia Deledda parte da moduli tardo-romantici e veristi per giungere a una letteratura che scava nelle anime e nei sentimenti dei personaggi. La vita viene schematizzata in un conflitto tra bene e male, e su tutto domina il tema del peccato.[2] I suoi principali romanzi hanno per sfondo la Sardegna, con i suoi paesaggi aspri e selvaggi; la terra natia viene in qualche modo mitizzata, ma questo processo non tralascia di mostrare anche gli aspetti più duri e negativi. I personaggi delle sue opere si confrontano con una società dominata da leggi immutabili che pervadono ogni aspetto della vita, frenando qualsiasi desiderio di emancipazione. La donna, in particolare, è sottomessa all'arcaico principio sociale che la considera una proprietà esclusiva del clan. In questo contesto l'amore è talvolta visto come una vita d'uscita, ma in altri casi provoca dolore e morte. La passione è sempre collegata al senso del peccato, che considera l'eros un delitto ogni volta che si distacca dai canoni della rigida gerarchia famigliare.[3] A causa della passione i personaggi cadono quindi in una condizione di colpa, per la quale finiscono per subire inevitabilmente una punizione.

Casa natale di Grazia Deledda a Nuoro

È facile vedere dietro questa concezione della vita e della società l'esperienza diretta dell'autrice. Tuttavia influiscono sulle sue opere anche la lettura della Bibbia e dei grandi narratori europei dell'epoca. È inoltre da rilevare il suo impegno nel descrivere, attraverso le sue opere, non solo la vita nelle regioni più aspre della Sardegna, ma più in generale la condizione dell'uomo moderno, condannato alla solitudine e incapace di comunicare.[3] Gli uomini sono come canne al vento, esseri fragili che vengono travolti dalle passioni. Allo stesso tempo c'è però la certezza che gli uomini hanno un'intima ripugnanza per il male che stanno compiendo, e la caduta genera un sentimento di rimorso e un desiderio di espiazione.[2]

La sua narrazione, si concentra quindi su questioni prevalentemente sentimentali e morali, e descrive le situazioni come fuori dal tempo. La sua prosa, scrive Ferroni, attinge «toni e sfumature diverse, ma manca di incisività e talvolta presenta improvvise cadute di tensione e di gusto».[4]

Le Opere[modifica]

Canne al Vento[modifica]

In un villaggio sardo, Galte, non lontano dalla foce del Cedrino, sulla costa tirrenica della Sardegna, vive la nobile famiglia Pintor: padre, madre e quattro figlie. Il padre, Don Zame, rappresentato come rosso e violento come il diavolo, è un uomo superbo e orgoglioso, ma anche prepotente e soprattutto geloso dell'onore della famiglia e ne protegge il prestigio e la nobile reputazione nel paese. Le donne, dedite ai lavori domestici, restano a casa. A questa condizione femminile si ribella solo Lia, la terza delle sue figlie, la quale trasgredendo le regole imposte dal genitore fugge sulla penisola per "prender parte alla festa della vita". Approda a Civitavecchia. Qui si sposa, ha un figlio e muore. Don Zame sembra impazzire per lo scandalo - "Un'ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita così." - Il padre mentre tenta di inseguire la figlia viene trovato misteriosamente morto sul ponte all'uscita dal paese. Il fatto criminoso resterà avvolto in una sorta di mistero: disgrazia o delitto? Questo è l'antefatto del romanzo che nella realtà narrativa viene rivelato con anacronie, nel corso della narrazione, la quale in verità comincia nel momento in cui viene annunciato l'arrivo di Giacinto, il figlio di Lia, in casa Pintor.

Quando il romanzo ha inizio, le dame Pintor, Ruth, Ester e Noemi, assistono rassegnate al declino della loro giovinezza, abitando in una casa oramai cadente e rimaste proprietarie di un unico, piccolo podere appena sufficiente per il loro sostentamento. La vita delle Pintor scorre in una mestizia malinconica nella quale sfuma il loro orgoglio, che ha guizzi soprattutto in Noemi e meno nelle altre due più anziane, provate dalla rinuncia e dall'aggravarsi della miseria. Invano sono protette dalla dedizione del servo Efix (Efisio è un nome molto diffuso nel sud della Sardegna e si chiama così uno dei santi patroni della città di Cagliari), legato a loro, come il carnefice alla vittima, da un forte senso di colpa (infatti lui per favorire la fuga di Lia, per cui aveva una devozione appassionata molto simile all'amore, aveva accidentalmente ucciso il padrone). Egli sogna, con pazienza e devozione, il rifiorire della casa e della casata. Una speranza si accende con l'arrivo di Giacinto. Intorno vagano i personaggi minori, membri della comunità e del gruppo, solidali e partecipi con la loro primitiva saggezza: le giovani coetanee di Giacinto, i coetanei delle Pintor, di Efix. Le reazioni all'arrivo di Giacinto sono minutamente descritte nei vari meccanismi di accettazione e rifiuto, finché l'amore finisce per ristabilire un nuovo equilibrio, che ciascun membro della comunità ha pagato con la propria esperienza e in misura adeguata al proprio ruolo.

Le pagine memorabili del romanzo che restano impresse nell'animo del lettore sono numerose: Efix e il suo mondo interiore, le sue riflessioni e le fantasie, gli interni della casa, il paesaggio, i santuari e le feste, la difficile iniziazione di Giacinto, l'amore di Noemi e quello di Grixenda per lui, quello riconoscente delle dame per Efix che si conclude nello splendido attittidu della fine, quando donna Ester parla come in una nenia funebre al servo morto, lo apostrofa e ne veste il cadavere leggero, sola nella grande casa allietata dalle nozze di Noemi col cugino don Pedru.

Il narratore deleddiano adotta via via, in soggettiva, il punto di vista di altri protagonisti, come Noemi e Giacinto, ma soprattutto Efix. Il narratore distingue tra il dialogo cui affida il materiale narrativo oggettivo, spazio-temporale, e il piano soggettivo della percezione del mondo, rappresentato attraverso le immaginazioni e le fantasie del protagonista.

La Madre[modifica]

La protagonista è la madre di Paulo, il parroco di Aar (nome immaginario), un paesino sui monti sardi. Paulo si è innamorato della giovane Agnese, che vive sola, e fra i due è in corso una relazione amorosa. La madre scopre la relazione e inizia a tormentarsi. Ad un certo punto Paulo, spinto da sensi di colpa, decide di lasciare Agnese, la quale in un primo momento vorrebbe vendicarsi rendendo nota la vicenda all'intera comunità. Ma la donna infine rinuncia al suo proposito: ciò nonostante la madre di Paulo, profondamente provata dal dolore e dall'angoscia, muore all'improvviso in chiesa, lasciando nel prete un grande rimorso.

La Via del Male[modifica]

Il protagonista del romanzo è Pietro campiere della famiglia Noina composta da Nicola Noina, di umili origini, da sua moglie Luisa, proveniente invece da una ricca famiglia e dalla figlia Maria, bella ed arrogante, che non dà segno di accorgersi del giovane campiere. Pietro corteggia Sabina, la nipote povera dei Noina, inaspettatamente Maria s'ingelosisce, e così Pietro, che non pensava di poter ambire a tanto, si "permette" di innamorarsi di lei. Riesce a conquistarla e per poter chiedere la sua mano le promette che diventerà ricco. Ma mentre Pietro è lontano a lavorare, Francesco Rosina, un ricco proprietario terriero, chiede la mano di Maria. Contemporaneamente Pietro viene arrestato e detenuto per tre mesi con la falsa accusa di furto di bestiame, durante la detenzione fa amicizia con Antine, il quale, quando Pietro scoprirà del fidanzamento di Maria, lo convincerà ad ottenere quello che vuole seguendo "la via del male". Maria e Francesco si sposano ma, durante la luna di miele, Francesco viene ucciso nella sua tanca, Maria per cinque anni porta il lutto, poi sposa Pietro che nel frattempo è diventato un mercante di bestiame. Tutto sembra procedere bene e il delitto, rimasto irrisolto, è soltanto un ricordo, quando Sabina che si è sposata e trasferita in Algeria, scrive a Maria una lettera in cui le racconta che un pastore, cugino del marito, sa la verità sulla morte di Francesco, e indica come responsabili Pietro e il suo ex compagno di cella Antine. Maria si trova nella situazione di dover scegliere tra due opzione: ottenere giustizia per un marito che in fondo non aveva mai amato e accusare il suo attuale marito, affrontando lo scandalo, oppure tacere e accettare la via del male, ma si rende conto che in fondo fece la scelta quando, pur nel dubbio, acconsentì al matrimonio con Pietro.

Cenere[modifica]

Olì, una giovane donna incontra un uomo sposato del quale si innamora e con cui concepisce un figlio. Per questo lei viene cacciata di casa, e trascorsi i primi anni col figlio Anania, nell'angoscia di non poter dare a suo figlio una vita dignitosa, vista la sua condizione di povera e disonorata, lo abbandona a soli sette anni davanti alla casa paterna. Questi, divenuto adulto, cercherà con l'aiuto di sua moglie rintraccerà la madre, e di conseguenza perderà la fidanzata, poiché questa rifiuterà di accettare la presenza di una suocera disonorata e socialmente impresentabile.

Elias Portolu[modifica]

Il romanzo si svolge intorno alla figura del protagonista Elias, appartenente all'ambiente agro-pastorale della Barbagia, che condannato, sconterà la pena detentiva in un carcere della penisola. Scontata la pena, ritorna al suo mondo nativo pervaso dal desiderio di iniziare una vita nuova, lontana dalla spensieratezza del passato e della sua infanzia, lavorando nell'ovile della famiglia. Elias si innamora di Maddalena, la sposa di suo fratello Pietro, e con lei commette adulterio, dopo che Maddalena rimane incinta lui decide di farsi prete. Prima che nasca il bambino, Pietro muore per un'infiammazione ai reni, e Berteddu viene riconosciuto come suo figlio. Ma a questo punto Elias è sul punto di ricevere gli ordini. Tre giorni prima della cerimonia, Maddalena prega Elias di sposarla e di dichiararsi padre del bambino. Ma Elias sta per prendere l'ordinazione sacerdotale e la sua decisione è irrevocabile. Pochi anni più tardi, il figlioletto di Elias e Maddalena, affetto da una grave malattia, morirà.

Note[modifica]

  1. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 193.
  2. 2,0 2,1 Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 811.
  3. 3,0 3,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 194.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 823.

Altri progetti[modifica]


La Lezione fa parte del Progetto "Le Donne nella Letteratura Italiana" (superiori).