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Tipi di danno e morte cellulare

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Tipi di danno e morte cellulare
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Patologia e fisiopatologia generale
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 25%

La cellula può essere vista come un organismo a sé stante, dotato di organi (o in questo caso, organuli) indispensabili alla propria sopravvivenza, di una propria fisiologia, di meccanismi atti a difendersi e così via.

I processi patologici possono andare a ledere questo microcosmo, danneggiandolo o addirittura causandone la completa distruzione: nel caso in cui tali processi si estendano andando a colpire più e più cellule, si potrà parlare di danno tissutale e conseguentemente di vera e propria malattia.

Tipologie di danno cellulare

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Come si è già accennato, le cellule per quanto piccole possano essere hanno comunque una propria capacità di "risoluzione dei problemi" davanti a un evento patogeno. A seconda di come e quanto questi meccanismi di risposta funzionino la cellula andrà incontro a due diversi destini.

Nel caso in cui i meccanismi di difesa riescano a prevalere il danno cellulare sarà reversibile, con un ripristino completo dello stato precedente e delle normali funzionalità (noto anche come guarigione per risoluzione). In alcuni casi le cellule sopravvissute all'evento patologico possono però presentare nuove strutture (come nel caso dell'alcol, che nel lungo periodo può determinare accumuli di grasso all'interno degli epatociti), le quali a ogni modo generalmente non interferiscono con la sopravvivenza cellulare.

Nel caso in cui invece i meccanismi di difesa non riescano a prevalere sullo stimolo patologico il danno sarà irreversibile, e la cellula non potrà mai più tornare come prima o addirittura potrà soccombere. Ciò può avvenire in risposta a patologie dovute ad agenti esterni (virus, batteri, sostanze tossiche, eccetera), nonché a causa di trasformazioni neoplastiche.

Necrosi

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La necrosi rappresenta una delle vie che la cellula può prendere in caso di danno irreversibile. Si tratta di un evento traumatico che porta alla distruzione della membrana e delle strutture cellulari, con conseguente morte della cellula.

Cause

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Le cause di necrosi possono essere varie:

  • carenza di ossigeno (ipossia) o mancanza completa di ossigeno (anossia);
  • agenti chimici (acidi, ecc.);
  • agenti fisici (radiazioni).

Caratteristiche

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Dal punto di vista microscopico, la cellula assume alcune caratteristiche che la differenziano dalle cellule sane adiacenti:

  • rigonfiamento idropico, causato dall'alterato passaggio di liquidi all'interno della cellula in seguito alla perdita dell'integrità della membrana: diventano visibili sulla membrana dei rigonfiamenti bollosi, noti come blebs;
  • perdita dei nuclei, nei quali il DNA viene prima frammentato (carioressi) e poi digerito (cariolisi).

La principale causa della necrosi è il crollo della produzione energetica della cellula, che nel caso dei processi ischemici è secondario alla mancanza di apporto di sangue ai tessuti con conseguente penuria di ossigeno e nutrienti. La mancanza di ossigeno porta alla disfunzione dei mitocondri e quindi a un drastico calo della produzione di ATP, che è necessario per svolgere la maggior parte delle funzioni cellulari.

La deplezione di ATP determina infatti una riduzione della sintesi proteica (si scompongono i ribosomi e l'RNA si disperde nel citoplasma).

Un altro effetto causato dalla riduzione di ATP è la disfunzione delle pompe che espellono fuori dalla cellula gli ioni calcio. L'ingresso incontrollato di Ca2+ nel citoplasma ha una serie di conseguenze:

  • danno mitocondriale, dovuto alla produzione di un canale transmembrana con perdita della differenza di potenziale (e quindi ulteriormente della capacità di produrre ATP);
  • attivazione di vari enzimi, come:
    • fosfolipasi, che danneggiano le membrane cellulari;
    • proteasi, che sezionano citoscheletro e proteine varie, inattivandole;
    • endonucleasi, che tagliano pezzi di DNA;
  • attivazione delle caspasi, che inducono l'apoptosi.

La penuria di ATP porta inoltre a una disfunzione delle pompe Na+/K+ presenti sulla membrana, pertanto si verifica un'alterazione della concentrazione degli ioni che porta all'entrata di liquido dallo spazio extracellulare all'interno della cellula, causando un rigonfiamento della stessa.

In questo stadio, la cellula ha ancora la possibilità di risolvere il danno e ritornare allo stadio iniziale. Se invece il rigonfiamento raggiunge un punto limite, le membrane cellulari si rompono.

La tappa fondamentale che porta alla necrosi è proprio la perdita dell'integrità della membrana. Come è noto, la membrana cellulare ha il ruolo di difesa meccanica dagli agenti patogeni, ma soprattutto quello di mantenere un microambiente con caratteristiche differenti rispetto a quello extracellulare (ad esempio per pH), regolando l'introito di sostanze chimiche -dagli ioni alle proteine a macrostrutture varie- e la loro espulsione all'esterno.

La rottura della membrana plasmatica da parte delle fosfolipasi determina la comparsa di veri e propri "buchi" e porta all'ulteriore entrata di liquido e materiale dallo spazio extracellulare.

L'ennesima conseguenza della mancanza di energia nella cellula è l'aumento delle specie reattive dell'ossigeno (ROS), che non potendo essere contrastate efficacemente determinano perossidazione delle membrane (che risultano danneggiate), ossidazione delle proteine (che vengono inattivate) e danni al DNA.

Nel frattempo la mancanza di ossigeno ha portato a uno spostamento della produzione di energia verso la glicolisi: questo processo determina la produzione di acido lattico, che tende ad abbassare il pH cellulare. L'abbassamento del pH ha vari effetti, tra cui quello di denaturare le proteine all'interno della cellula (evento che assieme alla presenza di RNA libero nel citoplasma porta a una maggiore eosinofilia, rendendo le cellule necrotiche distinguibili al microscopio da quelle sane), portando a un ulteriore crollo delle funzioni cellulari.

Lo stato di rigonfiamento idropico rappresenta il punto di non ritorno per la cellula: se la necrosi avanza le strutture cellulari vengono completamente degradate, il nucleo va in cariolisi, la rottura della membrana plasmatica permette la fuoriuscita di proteine ed enzimi cellulari e l'entrata di materiale extracellulare (in particolare lipidi): si assiste infine alla calcificazione attorno allo "scheletro" della cellula ormai morta, con presenza di materiale amorfo.

Tipi di necrosi

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Necrosi coagulativa

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La caratteristica principale è la denaturazione proteica (che causa eosinofilia) localizzata, che comunque non altera sensibilmente la struttura tissutale a livello macroscopico. Tipica di tessuti con pochi lisosomi (cuore, rene, fegato) in condizioni di ipossia e ischemia.

Necrosi colliquativa

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Se invece sono presenti molti lisosomi, in seguito alla loro dispersione si assiste a una maggiore devastazione della cellula e di quelle circostanti, con perdita completa della struttura cellulare e dell'integrità tissutale e comparsa di una massa amorfa e apparentemente liquida, che può contenere anche polimorfonucleati (nel caso ad esempio delle infiammazioni piogene, con formazione di pus) e calcificazioni dovute all'interazione tra ioni calcio e acidi grassi liberi.

Necrosi caseosa

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Tipica degli eventi tubercolari, si assiste alla presenza di una massa amorfa centrale (formata da cellule lisate e proteine degradate) circondata da diverse cellule infiammatorie, come macrofagi e linfociti. Tale struttura viene definita granuloma.

Apoptosi

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L'apoptosi rappresenta una morte autoindotta dalla cellula, generalmente in risposta a uno stimolo: si può parlare di un vero e proprio "suicidio" della cellula, che a volte può rendersi necessario per motivi fisiologici o al fine di salvare le cellule vicine da un pericolo (ad esempio, in caso di infezione virale). Trattandosi di un processo controllato è meno caotico rispetto alla necrosi: ad esempio, non vi è perdita dell'integrità di membrana.

Regolazione dell'apoptosi

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Esistono due tipi di regolatori: le proteine pro-apoptotiche (che inducono l'apoptosi) e quelle anti-apoptotiche (che invece la prevengono).

Le più famose proteine anti-apoptotiche sono quelle appartenenti alla famiglia Bcl-2: si tratta di proteine transmembrana localizzate sulla membrana esterna dei mitocondri, della quale regolano la permeabilità. In condizioni di normalità, Bcl-2 legano altre proteine transmembrana, ad azione pro-apoptotica, chiamate Bax e Bak, impedendone l'attivazione.

Quando invece prevalgono i segnali di morte cellulare, alcune proteine solubili (Bad, Puma, Bim, Noxa, sempre appartenenti alla macrofamiglia Bcl-2 ma ad azione pro-apoptotica) legano le Bcl-2 transmembrana, inattivandole: a questo punto, Bak e Bax sono liberi di formare degli oligomeri che permettono la fuoriuscita di alcune molecole dai mitocondri, come il citocromo C (coinvolto nella catena respiratoria), SMAC/DIABLO e AIF (fattore d'induzione dell'apoptosi). Il citocromo C una volta nel citosol viene legato dalla proteina APAF, che successivamente polimerizza e lega la procaspasi 9 (che viene quindi attivata diventando la caspasi 9), formando un complesso chiamato apoptosoma. Occorre notare che le varie tappe della formazione dell'apoptosoma e l'attivazione della caspasi 9 richiedono energia (essendo processi ATP-dipendenti): pertanto, in caso di grave deplezione di ATP (in corso di anossia, ad esempio) o danno cellulare avanzato, la cellula non ha forze e/o tempo per attivare l'apoptosi, e pertanto virerà verso un processo necrotico.

L'apoptosoma ha fondamentalmente il compito di creare dimeri di caspasi 9, forma che ne permette l'attivazione (in forma monomerica infatti risultano completamente inibite). La caspasi 9 attivate procedono quindi con la loro attività proteolitica su vari bersagli, come la lamina nucleare e ICAD/DFF45 (un repressore dell'enzima CAD, deputato alla frammentazione del DNA, che quindi diventa libero di svolgere le proprie funzioni).

La regolazione dell'apoptosi mediata da Bcl-2 viene detta via intrinseca, in quanto essa origina da segnali intracellulari.

Quando invece l'apoptosi viene stimolata da fattori esterni, ha origine la cosiddetta via estrinseca. Questi fattori esterni sono rappresentati da varie citochine, come TNFα e il ligando di Fas (FasL): ognuno di essi ha un proprio recettore, una proteina transmembrana dotata di un death domain (DD), un "dominio di morte". Il DD ha il compito di legare una proteina (chiamata FADD nel caso del FasL e TRADD nel caso del TNF) con ruolo di adattatore tra recettore e procaspasi 8, e proprio a quest'ultima si lega tramite un dominio chiamato death effector domain (DED): in presenza del ligando avremo quindi un complesso formato dal recettore che tramite il DD lega FADD, a sua volta dotato di un dominio DED che lega la procaspasi 8. Il complesso viene definito DISC (Death Inducing Signalling Complex), ed è praticamente l'apoptosoma della via estrinseca: l'apoptosoma lega e attiva la procaspasi 9, il DISC invece fa lo stesso con la procaspasi 8. La caspasi 8 non partecipa direttamente all'apoptosi, ma può:

  • attivare altre caspasi effettrici (la 3, la 6 e la 7);
  • clivare Bid, una proteina facente parte della schiera pro-apoptotica della famiglia di Bcl-2, che attivandosi lega e stabilizza Bax. In tal modo può avviarsi anche la via intrinseca, che pertanto risulta collegata a quella estrinseca.

La scelta di una di queste due direzioni dipende da vari fattori, come la quantità di ligando nella cellula che stimola esternamente l'apoptosi (ad esempio, un linfocita T CD8) e la quantità di procaspasi 8 all'interno della cellula.

Varie famiglie di virus possiedono alcune proteine, dette Crm, che mimano l'attività di Bcl-2 legando Bax e pertanto bloccano l'apoptosi, determinando la sopravvivenza della cellula (e dando al virus la possibilità di sfruttarla per potersi replicare).

Ruolo delle caspasi

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La caspasi 3 cliva ICAD, inibitore della DNAsi CAD, che quindi può attivarsi e tagliare a pezzi il DNA e inibire i vari meccanismi di riparazione (PARP e topoisomerasi). Il taglio effettuato da CAD è regolare e produce pezzi di DNA di lunghezza prestabilita (180pb e relativi multipli), cosa che invece non avviene nella necrosi, dove i segmenti di DNA vengono tagliati caoticamente e presentano lunghezza diversa.

Autofagia

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L'autofagia è un'altra tipologia di risposta da parte della cellula a condizioni di stress: come il nome stesso lascia intuire, la cellula attiva dei meccanismi tramite i quali si "automangia", ovvero provvede a eliminare alcuni suoi organuli. Si tratta di una condizione complementare all'apoptosi, ma non necessariamente collegata: una cellula può sopravvivere dopo l'autofagia, ma in determinati casi (ad esempio, se vengono eliminati i mitocondri) essa va inesorabilmente incontro ad apoptosi.

Esistono essenzialmente tre forme di autofagia:

  • macroautofagia, in cui parti di membrana plasmatica circondano gli organuli (mitocondri, Golgi, ecc.) formando delle vescicole detti autofagosomi: queste poi si uniscono ai lisosomi e il contenuto viene smaltito;
  • microautofagia, in cui a essere inglobate sono proteine presenti nel citoplasma;
  • Chaperone Mediated Autophagy, una via particolare regolata dalle chaperonine. Queste riconoscono una specifica sequenza aminoacidica, KFERQ, presente in circa il 30% delle proteine: normalmente questa sequenza risulta nascosta, ma può divenire riconoscibile in caso di danno con perdita della normale conformazione proteica. In questa evenienza, le chaperonine si legano a questa sequenza e portano la proteina a un recettore (Lamp2A) presente sui lisosomi: il recettore e la proteina vengono quindi internalizzati all'interno e distrutti.