Suicidio parlamentare/Italia

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Suicidio parlamentare/Italia
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto comparato

Si suole parlare di suicidio parlamentare quando un'assemblea legislativa approva, senza costrizione, un atto che permetterà in seguito, in maniera del tutto legale, l'instaurazione di una dittatura.[1]

Introduzione[modifica]

Tale evenienza è tipica di quei casi in cui uno stato verte in una situazione di grave disordine, e coloro che intendono prendere il potere hanno consistenti appoggi nel paese in ambito sociale e economico. Costoro, riunitisi in una formazione politica guidata da un capo carismatico, pur proclamando la loro totale sfiducia per le regole democratiche, inizialmente le accettano per non scontrarsi con le autorità costituite e successivamente le modificano a loro favore. Per raggiungere i loro scopi debbono conquistare il consenso di larghi strati nella nazione. Di conseguenza dopo un primo periodo di lotta dura fatta di violenze, intimidazioni e programmi elettorali populisti ed estremisti, ottenuta una certa notorietà, annacquano le loro idee per renderle più digeribili e carpire la buona fede di tanti cittadini e dei politici di altre formazioni da inglobare. Nel frattempo, grazie alla completa assenza di democrazia interna e alla conseguente compattezza, con un alternarsi di irrigidimenti e concessioni, accordi e voltafaccia, riescono a posizionare i loro esponenti nei ruoli chiave della società e, grazie alla propaganda, ad aumentare i consensi. Arrivati al massimo del potere, consci del fatto di non poter andare oltre in maniera legale, con furbizia e cinismo riescono a far approvare leggi-grimaldello che permettono loro di instaurare una dittatura senza violare formalmente la legalità. L'approvazione di tali leggi rappresenta il punto di non ritorno e costituiscono un vero e proprio suicidio parlamentare.

L'instaurazione di una dittatura nelle forme sopracitate è tipico delle nazioni evolute con una discreta tradizione politica alle spalle dove, quindi, non sarebbe ipotizzabile un colpo di stato in senso classico, cioè la presa del potere con la forza nell'arco di un paio di giorni o addirittura di una sola nottata. Difatti i classici esempi di suicidio parlamentare si sono avuti in Italia ed in Germania con l'avvento delle dittature fasciste e naziste rispettivamente negli anni '20 e '30 del secolo scorso.

Il caso italiano[modifica]

La situazione nel primo dopoguerra[modifica]

Le caratteristiche sopradescritte riguardo alle circostanze che portano ad un suicidio parlamentare si sono perfettamente realizzate nell'Italia del primo dopoguerra. Accanto alla miseria provocata dall'enorme sforzo bellico vi erano grandi disordini provocati dalle fazioni dell'estrema sinistra che volevano realizzare una rivoluzione sulla scia della rivoluzione d'ottobre sovietica.

Seguendo il principio del Tanto peggio tanto meglio respingevano ogni forma di protesta costruttiva nella speranza che il caos sempre maggiore in cui sprofondava il paese indebolisse le istituzioni a tal punto dal rendere possibile la rivoluzione.

I grandi proprietari terrieri, gli industriali e l'alta borghesia dal canto loro, invece di proporre delle riforme per favorire la secessione dal fronte socialista delle frange più moderate, si arroccavano sui loro privilegi. Il governo, dovendo contare sulla fiducia parlamentare, era incapace di assumere una posizione decisa verso gli uni e verso gli altri poiché la Camera dei Deputati era dominata da infinite correnti di destra e di sinistra in perenne lite tra loro. Questo comportava una grande perdita di prestigio delle istituzioni.

Alcuni dei politici più accorti come Giolitti, capirono che era nata una nuova era politica in cui le istituzioni dovevano essere non protagonisti ma osservatori e moderatori degli scontri sociali tra operai e contadini da un lato ed industriali e latifondisti dall'altro, sulla falsariga di quanto avviene oggi nelle contrattazioni collettive nazionali tra le parti sociali. Tuttavia l'enorme violenza e i numerosi omicidi politici impedivano un confronto sociale serio e costruttivo ed imponevano al governo di entrare in gioco.

La rigida ortodossia dogmatica delle forze socialiste e comuniste determinò un progressivo appiattimento delle istituzioni sulle forze fasciste, più duttili nei confronti delle varie classi sociali e soprattutto più demagociche. Difatti il fascismo da un lato si proponeva come alfiere della legalità e del rispetto della proprietà privata, dall'altro aveva una forte propensione sociale nell'aiutare le classi disagiate. Anche se quest'ultima risultava spesso di facciata e ben poche volte sincera ed effettiva, l'immagine che il fascismo dava di se presso la nazione in generale era abbastanza virtuosa, anche se la realtà era ben diversa (nonostante la presenza tra i fascisti di alcuni sinceri idealisti).

La scalata al potere dei fascisti[modifica]

Dopo essere riusciti a far eleggere in parlamento un manipolo di uomini fidati alle elezioni del 1921, con furbizia e trame politiche, e sfruttando il discreto supporto popolare, Mussolini, fondatore e capo indiscusso del fascismo, riuscì a diventare Capo di un Governo di coalizione sostenuto da popolari, liberale e conservatori (oggi diremmo di centrodestra). Quindi, dopo alcune riforme che avevano reso molto popolare tale governo, fece approvare una riforma elettorale: la Legge Acerbo.

Tale riforma prevedeva l'assegnazione dei due terzi dei seggi alla lista che ottenesse il maggior numero di voti. Essa era presentata come il sistema per risolvere l'instabilità di governo ed era ben vista sia dalla maggioranza che da alcune frange dell'opposizione. Difatti all'opposizione erano riservati comunque quasi duecento scranni parlamentari, dai quali potevano continuare a fare un'opposizione senza che questa gettasse nel caos il paese.

I più accorti avevano notato, infatti, che in Italia il caos favoriva l'estrema destra e non l'estrema sinistra. Di conseguenza si faceva largo una nuova strategia che consisteva nel far sì che le responsabilità di governo e le relative disillusioni, che sono ad esse prima o poi quasi sempre conseguenti, alla lunga allontanassero consensi nei confronti delle formazioni politiche di destra.

Durante la discussione di tale legge i socialisti, pur formalmente contrari, non fecero una dura opposizione e i limitarono a proporre un emendamento che prevedesse che il premio di maggioranza scattasse solo se la lista che otteneva la maggioranza relativa dei consensi avesse ricevuto almeno il 40% dei voti validi. La maggioranza dal canto suo si mostrò accomodante accettando tale emendamento, ma portando tale quorum al 25%. Solo i comunisti avevano capito quale effetto dirompente avrebbe avuto tale legge e fecero un'opposizione intransigente.

La legge fu approvata e subito dopo furono indette le elezioni. Dato il basso valore del quorum, per il partito fascita fu sufficiente allearsi con i liberali a con alcune frange politiche conservatrici e, senza l'apporto dei partiti politici di centro (come il PPI di Don Luigi Sturzo e del giovane Alcide De Gasperi), formare la Lista Nazionale (soprannominata Listone) e conquistare i due terzi dei seggi. È necessario notare che, poiché l'opposizione si presentava divisa (per evidenti motivi dogmatici presenti tra comunisti, socialisti e popolari) anche senza le gravi violenze che segnarono le elezioni del 1924, l'esito sarebbe stato comunque scontato.

Tolti i seggi che all'interno del Listone erano stati riservati ai liberali e ad alcuni conservatori, i fascisti avevano comunque la maggioranza assoluta del Parlamento. Grazie alla flessibilità della costituzione allora vigente (lo Statuto Albertino), e agli appoggi economici e sociali di cui godevano nella nazione, i fascisti, pur non essendo maggioranza nel paese, instaurarono progressivamente una dittatura approvando leggi liberticide che andavano manifestamente a favore dei loro interessi.

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L'approvazione della Legge Acerbo fu dunque un classico caso di suicidio parlamentare. Dopo la fine del fascismo, i deputati presenti alle sedute nelle quali si discutè quella legge, ammisero di non aver capito di trovarsi sul ciglio di un burrone. Si trattò, dunque, di una sorta di suicidio inconscio, dovuto alla superficialità che ebbero i principali leader politici del tempo, che pure potevano vantare una grande esperienza politica.[2]

Il destino volle che anche la fine della dittatura avvenne in maniera legale con una sorta di suicidio politico: la mozione Grandi che, approvata dal Gran Consiglio, si proponeva la semplice destituzione di Mussolini ed invece determinò la fine del regime ed il progressivo ritorno alla democrazia. Il tutto senza colpi di stato, sia pure nello sfacelo completo della nazione a seguito dei tragici eventi che segnarono la seconda guerra mondiale.

Note[modifica]

  1. Il termine, in questa accezione è usato pag 95 del testo di Emilio Gentile. Fascismo e antifascismo: i partiti italiani fra le due guerre (2000) Le Monnier ISBN 9788800857208
  2. I risultati elettorali, sia pure per effetto di un clima denunciato in aula da Giacomo Matteotti furono tali da non rendere necessaria una soglia di quorum così bassa. Il Listone (che aveva come simbolo il fascio littorio) conseguì il 60,1% dei voti e 356 deputati. Vanno poi aggiunti il 4,8% di voti e i 19 seggi conseguiti dalla lista fiancheggiatrice (che aveva come simbolo l'aquila romana e il fascio littorio).