Le obbligazioni non da contratto nel diritto romano

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Le obbligazioni non da contratto nel diritto romano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto romano
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Oltre che da contratto, le obbligazioni potevano derivare da atto lecito unilaterale: tale categoria fu detta delle obligationes quasi ex contractu e comprendeva i legati obbligatori (legatum per damnationem, legatum sinendi modo), la negotiorum gestio, l'indebiti solutio, la pollicitatio, il votum ed altre figure minori.

Il votum[modifica]

Il votum era un istituto del ius sacrum consistente in una preghiera accompagnata da una promessa solenne fatta dal paterfamilias ad una divinità per ottenerne i favori. Aveva struttura di atto unilaterale, sottoposto a condizione sospensiva, in quanto la promessa veniva mantenuta solo dopo che la divinità avesse dimostrato la sua benevolenza.
Chi pronunciava il votum era detto voti reus (cioè beneficiario dell'aiuto della divinità) ma anche voti damnatus (cioè obbligato all'adempimento, nell'ambito del rectius esse).
Era anche ammessa la forma suprema di votum, consistente nel sacrificio volontario della vita per il bene pubblico, affinché gli dei concedessero la propria benevolenza (cd. devotio). Il votum era una promessa sacra, quindi regolata dal fas, cioè dal fato. I sacerdoti delle divinità tuttavia potevano ricorrere alla cognitio extra ordinem per ottenerne l'adempimento; generalmente, si trattava di erigere un tempio, oppure di istituire i ludi. Se però il promittente cadeva in miseria, poteva liberarsi dall'obbligazione cedendo la quinta parte del suo patrimonio.
Il votum era un'obbligazione trasmissibile agli eredi, i quali potevano liberarsi cedendo un decimo del loro patrimonio.

La pollicitatio[modifica]

Altra promessa unilaterale era la pollicitatio, promessa solenne che trae le sue origini dalla consuetudine che un cittadino promettesse alla sua città o al municipium di effettuare un versamento o realizzare un'opera di pubblico interesse per la comunità.
La pollicitatio andava mantenuta all'atto dell'assunzione di una carica pubblica (magistratura o sacerdozio). La pollicitatio era considerata stipulatio ad honorem, ma se l'opera promessa era già iniziata, il promittente poteva essere costretto a portarla a termine mediante la cognitio extra ordinem.
Che la pollicitatio fosse ritenuta alla stregua di una normale obbligazione, lo si ricava dalle fonti: «Si pollicitus moram coeperit facere, usurae accedunt» (trad. scattano gli interessi moratori in caso di ritardo nell'adempimento della promessa.

La solutio indebiti[modifica]

La solutio indebiti si aveva quando un soggetto, erroneamente ritenendosi obbligato, pagava un'obbligazione del tutto inesistente (indebito ex re) oppure esistente ma tra altri soggetti (indebito ex persona). Dal pagamento dell'indebito sorgeva l'obbligo dell'accipiens di restituire e scattava la condictio indebiti (azione giudiziaria) per il solvens.
Presupposto per l'azione di indebito era l'errore, cioè l'ignoranza di non essere obbligato, perché se il solvens sapeva di non esserlo, allora si riteneva avesse voluto fare una liberalità (irripetibile). A sua volta, l'accipiens doveva ignorare che il solvens nulla gli doveva, altrimenti si riteneva aver commesso un furto.

La negotiorum gestio[modifica]

La negotiorum gestio era la gestione di affari altrui, cioè la gestione intrapresa senza averne ricevuto incarico e senza esserne altrimenti obbligato, eventualmente anche invito vel ignorante domino, ma non prohibente domino.

Si richiedevano alcuni requisiti:

  1. l'absentia domini
  2. l'utiliter coeptum
  3. l'animus aliena negotia gerendi

In altre parole, la semplice amministrazione di negotia aliena non basta per obbligare il gestore verso l'amministrato: occorrono altresì l'elemento psicologico dell'animus e che l'affare sia utilmente intrapreso (utiliter coeptum).
Laddove mancava l‘animus di gerire un affare altrui, ma il gestore avesse intrapreso l'attività con l'intenzione di lucrare per sé, o perché vi aveva interesse, o ancora perché nutrisse propositi disonesti, non veniva accordata l‘actio negotiorum gestorum.
Al gestore spettavano le expensas, o volontariamente rimborsate o recuperate con l'esperimento dell‘actio negotiorum gestorum.
In caso di danni e di lucro arrecati contemporaneamente al dominus, si applicava la compensatio lucri cum damno.

Le ipotesi più frequenti di negotiorum gestio riguardavano l'ufficio del tutore, con riferimento al tutore degli impuberi e degli incapaci, il cui patrimonio diveniva possesso del tutore stesso.

Ipotesi particolare di negotiorum gestio era quella di chi provvedeva ad un funerale, sostituendosi a chi vi era tenuto: lo ius praetorium concesse l‘actio funeraria per il recupero delle spese sostenute, con privilegio sopra l'eredità.
In tal caso, pur sempre occorreva l‘animus aliena negotia gerendi, a nulla valendo la pietas; Giustiniano ampliò le facoltà discrezionali del giudice nella valutazione delle spese ripetibili con l‘actio funeraria.

Circa la tutela del gestore, le fonti sono insolitamente puntuali; vi si trova perfino un richiamo al principio di solidarietà sociale, che affianca e sorregge le regole riguardanti il rendiconto, che doveva essere fornito -al termine della gestione- con esattissima diligenza, sicché si rispondeva anche di colpa lieve.