Le Obbligazioni da Illecito in Diritto Romano

Da Wikiversità, l'apprendimento libero.
lezione
lezione
Le Obbligazioni da Illecito in Diritto Romano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto romano
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Le Obbligazioni da Illecito (o obligationes ex delicto) sono una categoria comprendente le obbligazioni originate dalla commissione di uno dei classici illeciti civilistici, ossia:

  • furtum;
  • bona vi rapta (rapina);
  • iniuria;
  • damnum iniuria datum.

Tali obbligazioni avevano caratteri particolari che le distinguevano da tutte le altre, in particolare:

  • intrasmissibilità agli eredi;
  • nossalità;
  • cumulatività;
  • perpetuità delle azioni.

Nozione di atto illecito[modifica]

Atto illecito era (ed è) ogni atto lesivo di un diritto altrui. L'atto illecito constava di due elementi, cioè la volontarietà dell'atto (colpa) e la lesione del diritto altrui (danno).
Come la volontà nel negozio giuridico, anche la colpa esige capacità di agire. Pazzi e impuberi non potevano essere in colpa.
Vi erano varie specie di colpa: contrattuale ed extra-contrattuale.
La colpa contrattuale interveniva negli atti che presuppongono un particolare rapporto (appunto di natura contrattuale) con la persona lesa.
La colpa extra-contrattuale era quella che occorreva in tutti gli atti "illeciti per sè stessi"; prendeva anche il nome di colpa aquiliana dalla Lex Aquilia, che disciplinava i danni recati alle cose altrui quando tra il responsabile e il danneggiato non vi era alcun tipo di rapporto.

La colpa[modifica]

La colpa è il difetto di attenzione, ma senza malvagia volontà di nuocere, senza previsione effettiva delle conseguenze dell'atto. Si diceva qui in dolo scit, in culpa scire debet, intendendo generalmente la colpa come imputabilità del fatto illecito.
I Romani conoscevano due gradi di colpa: la colpa grave (lata culpa, magna neglegentia), consistente in una grave negligenza, superiore alla media comune, cioè il non usare l'attenzione più banale, il non intendere ciò che intendono tutti. Per il Digesto, Lata culpa est nimia neglegentia id est non intelligere quod omnes intelligunt. La culpa laevissima fu introdotta dalla Lex Aquilia
La colpa lieve (culpa levis) consisteva nel non usare l'attenzione propria dell'uomo regolare e ordinato nell'azienda domestica: questo tipo di uomo, per i Romani, era il bonus paterfamilias, ossia il tipo ordinario di persona che nella vita di tutti i giorni agiva con diligentia quam suis.
Una particolare figura di colpa era la culpa in concreto, che non aveva come parametro il tipo astratto del paterfamilias bensì la persona stessa del colpevole. Era tale la colpa di chi non adoperava negli affari altrui quella stessa diligenza che adoperava nei propri affari, ma si trattava di un concetto estremamente variabile.

Il danno[modifica]

Il danno è la lesione di un diritto: nel diritto romano era considerato danno, oltre alla lesione di un qualsiasi diritto del paterfamilias, anche la privazione di un vantaggio purché economicamente valutabile.
COnseguenza del fatto illecito era sempre l'obbligazione all'indennizzo o al risarcimento del danno in favore della parte lesa, collegato alla responsabilità del danneggiante e alla rei aestimatio.

Tipi di obbligazione da illecito[modifica]

Vari sono i tipi di obbligazione da illecito.

Il furtum[modifica]

Il furtum nel diritto romano, è il delitto di chi tenga nei confronti di una cosa, oggetto di un diritto reale altrui, un comportamento doloso contrario alla volontà del titolare, lesivo di tale diritto reale e tendente ad assicurarsi un lucro.

Definizione[modifica]

Tale è la definizione, famosissima, del giurista romano Paolo: "Furtum est contrectatio rei fraudolosa vel ipsius rei vel etiam usus eius possessionisve, quod lege naturali prohibitum est admittere". In effetti, grazie a tale definizione, rientrò nella categoria di furto l'uso non consentito della res da parte del creditore pignoratizio, del depositario, del comodatario (furtum usus).

Questa nozione è il frutto di una evoluzione secolare del concetto di furtum. Nel diritto romano più antico, la repressione del furtum era affidata alla vendetta del pater familias (o pater gentis nell'età più antica), il quale poteva uccidere o fare suo schiavo colui che lo avesse derubato.

Tipologia[modifica]

Le Leggi delle XII tavole introdussero la distinzione tra furtum manifestum e furtum nec manifestum.

Il furtum manifestum era il furto commesso dal ladro catturato dal derubato sul fatto. Qualora il ladro fosse un libero la pena consisteva nella fustigazione e nella addictio al derubato pronunciata dal magistrato, o, in caso di conciliazione, ad una pena pecuniaria. Qualora il ladro fosse un servo la pena era sempre capitale e comportava la fustigazione e la morte per caduta dalla rupe Tarpea.

Se il ladro avesse tentato di difendersi con le armi o avesse commesso il furto di notte, il derubato, invocata la testimonianza dei vicini, avrebbe potuto ucciderlo. In seguito si incominciò ad applicare l’actio furti manifesti, azione penale pretoria con cui il derubato perseguiva il quadruplo del valore della cosa rubata: direttamente contro il ladro se questi era sui iuris; contro l'avente potestà e in via nossale se il ladro era alieni iuris.
Nel caso di furtum nec manifestum, la pena era solo pecuniaria (il duplum rispetto al valore dell'oggetto del furtum) e fu perciò mantenuta dal pretore e perseguita con l’actio furti nec manifesti.

Rimedi legali[modifica]

Accanto all’actio furti, che mantenne sempre carattere penale, venne ammessa in funzione reipersecutoria la condictio ex causa furtiva (cui era però ammesso soltanto il proprietario della cosa rubata).

Ma perché si ammise tale condictio a favore del dominus se egli avrebbe avuto poi a disposizione la rei vindicatio per la restituzione della cosa? Secondo Gaio perché così i ladri potevano essere perseguiti con più azioni. Le due azioni erano alternative (o l’actio in rem o l’actio in personam: la prima preferibile se la cosa era reperibile, la seconda se il ladro fosse stato ancora persona solvibile o anche se egli avesse perduto il possesso della cosa o essa fosse perita).

Nel codice giustinianeo sono previste due specie di furto: il furto manifestum, punito in quadruplum e il furto nec manifestum punito in triplum.

La bona vi rapta (rapina)[modifica]

Per Bona vi rapta (rapina), nel diritto romano si intende un caso aggravato di furto, in quanto commesso mediante violenze sulle persone. La bona vi rapta era fonte di obbligazioni nascenti da atto illecito con il furtum e l'iniuria.

Successivamente il praetor peregrinus Lucullo, nel suo editto, accordò un'apposita azione contro colui che avesse, con la minaccia di un'arma, arrecato danno o sottratto cose altrui; la pena prevista ammontava al quadruplo della pena base, se l'azione era esperita entro l'anno, mentre era pari a quella base, se l'azione veniva esperita dopo tale termine. La giurisprudenza classica estese l'ambito di tale fattispecie, ricomprendendovi anche quelle ipotesi in cui non si facesse ricorso alle armi, ma nelle quali si fosse comunque impiegata violenza. Alla bona vi rapta poi, veniva equiparata l'ipotesi di impossessamento di cosa altrui profittando di una calamità (incendio, naufragio, rovina, ecc.).

La iniuria[modifica]

In diritto romano l'iniuria era, con il furtum e la bona vi rapta (rapina), una delle obligationes ex delicto (obbligazioni nascenti da atto illecito).

Caratteristiche[modifica]

Consisteva in una qualsiasi offesa di carattere fisico alla persona e in seguito anche riguardante la sua onorabilità e integrità morale. In epoca arcaica qualsiasi lesione ed offesa arrecata ad un gruppo familiare determinava la violenta reazione del gruppo stesso; l'esigenza di ripristinare l'equilibrio nei rapporti sociali era limitata unicamente dal principio, morale e religioso, della proporzionalità tra azione difensiva ed offesa.

Solo in seguito, le Leggi delle XII tavole, nel disciplinare il delitto di iniuria arginarono la reazione privata, comminando pene diverse per lesioni, violenze fisiche, dolose e ingiuste, a persone: per il membrum ruptum (cioè in caso di lesione non provocante la rottura delle ossa ma che comunque comporta una lesione es. emorragia) la pena era il taglione, cui l'autore poteva sottrarsi concordando con la vittima una composizione pecuniaria.

Per l'os fractum (rottura di ossa) c'era solo una sanzione pecuniaria di 300 assi per una persona libera, 150 per uno schiavo. In seguito quando le sanzioni divennero irrisorie per via della svalutazione della moneta, intervenne il pretore per una considerazione unitaria degli atti dolosi e ingiusti di violenza fisica sulle persone istituendo un’actio iniuriarum, atta a stabilire una pena pecuniaria che il giudice avrebbe stabilito di volta in volta sulla base dell'entità dell'offesa.

Per l'aspetto soggettivo i giuristi non si limitarono ad affermare l'esigenza del dolo, ma richiesero anche la specifica intenzione di recare iniuria. L'actio iniuriarum era infamante, penale e personalissima, intrasmissibile agli eredi sia dal lato passivo sia da quello attivo; la possibilità di esperire predetta azione trova un limite temporale fissato in un anno dall'avvenimento dell'iniuria.

Il damnum iniuria datum[modifica]

In diritto romano il damnum iniuria datum fu inserito tra i delicta grazie alla Lex Aquilia de damno emanata nell'antica Roma del III secolo a.C..

La legge[modifica]

La lex si articolava così:

  • Il primo capitolo riguardava l'uccisione di schiavi (iniuria) e altrui (pecudes);
  • Il secondo capitolo riguardava l'adstipulator che, in frode allo stipulante, avesse estinto il credito mediante acceptilatio;
  • Il terzo capitolo riguardava il ferimento di schiavi e pecudes, nonché l'uccisione di altri animali e il danneggiamento cose inanimate.

La pena[modifica]

La pena consisteva nel simplum: per il primo capitolo, nel maggior valore che schiavi o animali avessero avuto durante l'anno precedente l'uccisione; per il secondo, per l'importo del credito estinto; per il terzo, nel maggior valore degli schiavi, animali e cose nei trenta giorni precedenti l'evento dannoso.

Il secondo capitolo cadde in desuetudine, quando si incominciarono ad usare le rispettive azioni. Il primo e terzo capitolo furono ricompresi nel novero del damnum iniuria datum. L'azione che spettava contro l'autore del danno era l'actio legis Aquiliae, penale (ma in simplum) e in ius. Ad essa era legittimato il proprietario e poi, tramite actiones utiles, si estese la tutela aquiliana ad usufruttuari, comodatari e possessori di buona fede; forse anche a creditori pignoratizi, usuari e coloni.

L'azione si dava all'uopo in via nossale, non era trasmissibile e si cumulava con altre azioni. Se il danno era stato provocato nel maggior valore della res nell'ultimo anno o mese, l'azione era reipersecutoria, diversamente poteva essere mista dovendosi considerare a titolo di pena quella parte della condanna che superasse il valore della res al tempo dell'evento dannoso. Dal rozzo criterio del valore della cosa si passa poi a considerare l'interesse dell'attore all'integrità fisica della cosa stessa.