Le Successioni Legittime
La Successione Legittima (Successio ab intestato nel Diritto Romano) si ha quando il defunto (o de cuius) non abbia provveduto a redigere testamento, oppure quando pur avendo redatto il testamento questo è nullo o annullato ovvero dispone solo per una parte dei beni ovvero solo legati.
Nel caso di Successione Legittima la successione nel patrimonio del defunto avviene per il rapporto di parentela o di coniugio con il successore senza riguardo all'origine del bene. Il criterio è generalmente quello della prossimità del vincolo familiare. Di fondamentale importanza ricopre quindi il comprendere la nozione di Parentela. Ebbene a seguito della Riforma del Diritto di Famiglia rientra nella parentela non solo la filiazione avvenuta all'interno del matrimonio ma anche il figlio nato fuori dal matrimonio che quello adottivo. La Parentela di questi soggetti sarà quindi non solo verso i genitori, come avveniva precedentemente, ma anche verso i parenti degli stessi.
La successione legittima avviene attraverso un ordine di chiamate all'eredità fissato dalla legge:
- Al coniuge,
- Ai discendenti,
- Agli ascendenti,
- Ai collaterali,
- Agli altri parenti entro il sesto grado,
- E infine allo Stato.
Le Quote della Divisione
[modifica]Il Codice Civile, agli artt. 565-586, specifica nel dettaglio la quota che spetta ai vari soggetti chiamati all'eredità in varie situazioni:
- Discendenti ma non il coniuge: l'eredità è divisa in parti uguali tra i figli. Se un figlio è premorto e ha a sua volta figli, questi ereditano la parte che gli sarebbe toccata dividendola tra loro sempre in parti eguali, in base al diritto di rappresentazione (Cod. Civ. artt. 467-469). Questo stabilisce che i figli (e, per applicazione ricorsiva dello stesso diritto, tutti i discendenti) subentrano al genitore che non può (per morte o esclusione per indegnità) o non vuole (per rinunzia) succedere. In pratica, tra tutti i discendenti ha luogo una divisione per stirpi, che si contrappone a quella per linee e per capi che vedremo dopo. Per esempio, se il de cuius ha un figlio vivente e tre nipoti da un figlio premorto, il figlio vivente avrà metà dell'eredità e i nipoti un sesto ciascuno. Non si distingue tra figli nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio; i figli adottivi ereditano dagli adottanti ma non dai parenti di questi ultimi.
- Discendenti e coniuge: al coniuge tocca metà dell'eredità se concorre con un solo figlio, un terzo se i figli sono due o più. La divisione tra i figli avviene come nel caso precedente, e vale sempre il diritto di rappresentazione (per i figli, non per il coniuge). Per esempio, se il de cuius lascia il coniuge, due figli (o figlie) e due nipoti da un figlio premorto, al coniuge tocca un terzo, ai figli superstiti due noni ciascuno (un terzo di due terzi) e ai nipoti un nono ciascuno (metà di un terzo di due terzi).
- Coniuge, ma non discendenti, ascendenti o collaterali: al coniuge va l'intera eredità (art. 583 c.c.).
- Coniuge, ascendenti e/o collaterali, ma non discendenti: al coniuge vanno i due terzi, agli ascendenti e/o collaterali un terzo (art. 582 c.c.). Vedi sotto per la divisione tra questi ultimi.
- Ascendenti e/o collaterali, ma non il coniuge e discendenti: l'intera eredità è divisa tra ascendenti e/o collaterali. La divisione tra ascendenti e collaterali s'egue queste regole: in generale, fratelli, sorelle e genitori superstiti ereditano in parti uguali (divisione per capi), ma ai genitori o anche a uno solo tocca almeno metà dell'eredità. Anche per i discendenti dei fratelli e sorelle vale il diritto di rappresentazione. Per esempio, due genitori e un fratello dividono l'eredità in tre parti uguali; un genitore e un fratello in due parti uguali; due genitori e due fratelli in quattro parti uguali; un genitore e due fratelli: metà al genitore, un quarto ai fratelli; due genitori e tre fratelli: un quarto ciascuno ai genitori, un sesto ciascuno ai fratelli. Al posto dei fratelli premorti subentrano i nipoti o loro discendenti (non per capi ma per stirpi nella parte che sarebbe toccata al fratello). Se per morte o rinuncia non ci sono i genitori ma i nonni o altri ascendenti, a loro tocca la parte che sarebbe toccata a un solo genitore (per cui se i nonni concorrono con un solo fratello, a quest'ultimo tocca metà dell'eredità, mentre se concorresse con i due genitori avrebbe solo un terzo). Un solo genitore vivente che accetta l'eredità esclude anche i nonni dell'altra linea (vale cioè il criterio generale che il grado prossimo esclude il più remoto). La divisione si fa tra ascendenti dello stesso grado, e per linee (metà alla linea materna e metà a quella paterna, risalendo ricorsivamente l'albero genealogico): per esempio, se ci sono un nonno paterno e due nonni materni, al primo tocca quanto agli altri messi insieme. Le stesse regole valgono per dividere la quota di un terzo che a genitori e/o ascendenti spetta in presenza del coniuge: in questo caso la quota minima degli ascendenti è un quarto, e quindi quella dei collaterali in presenza di ascendenti si riduce a un dodicesimo complessivamente. I fratelli unilaterali (cioè di padre o madre diversi) hanno la metà dei fratelli germani. Per esempio, se il de cuius lascia il padre, la nonna materna, un fratello unilaterale, un fratello germano e due nipoti da un altro fratello germano premorto, il padre avrà metà dell'eredità, la nonna materna nulla, il fratello germano un quinto, il fratello unilaterale un decimo, i due nipoti un decimo ciascuno.
- Altri parenti fino al sesto grado: qui vale la regola generale per cui i parenti di grado prossimo escludono quelli di grado più remoto, e non vale il diritto di rappresentazione. Pertanto, per esempio, i nipoti e anche i pronipoti (che per rappresentazione sono di secondo grado, anche se sarebbero di terzo o quarto) escludono gli zii (che sono di terzo); i cugini (che NON subentrano agli zii perché non vale la rappresentazione) sono esclusi dagli zii. Tra i parenti di pari grado la divisione si fa per capi senza divisione per linee: per esempio, se ci sono due zii materni e tre paterni, ognuno avrà un quinto dell'eredità. In pratica l'ordine di precedenza è il seguente:
- Prima gli zii (terzo grado);
- Poi i (primi) cugini e i prozii (quarto grado);
- Poi i figli dei cugini, i cugini dei genitori (cugini in seconda) e i fratelli dei bisnonni (quinto grado);
- Infine i nipoti abiatici dei cugini, i nipoti abiatici dei prozii (ovvero i secondi cugini), i cugini dei nonni e i fratelli dei bisnonni dall'eredità legittima.
- Se nessuno di questi parenti è vivente e non esiste un testamento, l'eredità è devoluta allo Stato. Lo Stato è l'unico erede necessario cioè l'acquisto dell'eredità avviene senza accettazione e senza possibilità di rinucia. Dato che opera di diritto, lo Stato può reclamare la qualifica ereditaria anche dopo il decennio entro cui è di regola ammessa l'accettazione, e può sempre rivendicare i beni contro gli usurpatori che non abbiamo attuato in proprio favore i presupposti dell'usicapione. La Responsabilità dello Stato come erede, e cioè dei debiti del de cuius, è sempre unicamente intra vires, senza che si debba invocare il beneficio d'inventario.
Si noti che gli affini sono sempre esclusi, sia i diretti (genero, nuora, suoceri) sia gli indiretti (cognati, ecc.).
L'Azione di Riduzione
[modifica]L' Azione di Riduzione (art. 553 e ss. c.c.) è un'azione che la legge concede ai legittimari per ottenere la reintegrazione della legittima (detta anche quota di riserva) mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre (cosiddetta disponibile).
È da ricordare che la successione necessaria, cui appunto si riferisce la quota di riserva e le conseguenti azioni dirette alla reintegrazione di tale quota (azioni di riduzione e azioni di restituzione), individua un limite prestabilito dalla legge entro il quale il de cuius può disporre e, tra l'altro, ha potenzialmente la forza di andare anche contro la volontà del testatore. La ratio di tale limite e di simile potenzialità è rinvenibile nella Costituzione e in particolare in quelle disposizioni che tutelano la famiglia.
I presupposti dell'azione sono la dimostrazione della qualità di legittimario (ovvero di stretto congiunto del de cuius) e in secondo luogo della lesività della disposizione testamentaria o della donazione nei confronti della quota che la legge riserva espressamente e anche contro la volontà del de cuius al legittimario.
La dichiarazione di declaratoria della disposizione testamentaria o della donazione rende inopponibile al legittimario qualsiasi atto di disposizione che ha intaccato la propria quota di riserva.
Il calcolo della legittima avviene attraverso la riunione fittizia. Questa è una operazione matematico-contabile che imputa al patrimonio del de cuius (soggetto della cui successione si discute) il valore dei beni a lui intestati decurtato dai debiti (cosiddetto relictum) e tutte le donazioni compiute da lui in vita (cosiddetto donatum).
La somma di relictum e di donatum rappresenta l'asse patrimoniale su cui possono fare affidamento i legittimari. Questi possono esercitare l'azione che, se esperita vittoriosamente, comporta l'automatica riduzione delle disposizioni testamentarie e/o delle porzioni degli eredi legittimi con effetti che retroagiscono al momento dell'apertura della successione. L'azione può essere esperita anche dagli eredi e dagli aventi causa dei legittimari ed è soggetta all'ordinario termine di prescrizione: dieci anni.
Orientamenti contrastanti si registrano sia in dottrina sia in giurisprudenza circa il momento in cui comincia a decorrere il termine della prescrizione decennale per l'esercizio dell'azione di riduzione. I primi orientamenti erano favorevoli a considerare come momento iniziale quello corrispondente all'apertura della successione (quindi dalla morte del de cuius), successivamente l'orientamento si è spostato nel senso di considerare come momento iniziale del decorso del termine quello corrispondente alla pubblicazione del testamento (quindi successivo alla morte del de cuius). Su tale punto è invero intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che ha risolto i contrasti in materia, ritenendo il momento iniziale del decorso del termine di prescrizione quello corrispondente al momento in cui sorge nel legittimario l'interesse ad agire e, quindi, nel caso di disposizione testamentaria, nel momento in cui l'erede designato dal de cuius accetta l'eredità, mentre, nel caso di donazione, il termine di prescrizione comincia a decorrere dal momento dell'apertura della successione (morte del de cuius) in quanto in quel momento si perfeziona la lesività della donazione nei confronti del legittimario.
L'azione di riduzione, come mezzo con cui il legittimario fa valere il suo titolo si dirige in primo luogo verso le disposizioni testamentarie. Qualora queste siano insufficienti, il legittimario agisce contro le donazioni. La prima donazione in ordine di tempo sarà l'ultima a subire la riduzione.
Per chiedere la riduzione delle donazioni devono sussistere ulteriori presupposti:
- Il legittimario deve aver accettato l'eredità con beneficio d'inventario (a meno che l'azione non sia rivolta verso gli altri legittimari, o il legittimario non sia stato omesso dalle disposizioni testamentarie);
- Il legittimario ha l'obbligo di imputare alla sua porzione le donazioni e i legati a lui fatti.
L'azione è personale. L'effetto reale è collegato all'azione di restituzione, che il legittimario può esercitare per ottenere la soddisfazione concreta dei suoi diritti.
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