Classico Latino: Cicerone (superiori)
Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino, da famiglia equestre. Studia retorica e filosofia a Roma, e inizia a frequentare il foro. Nell'81 a.C. debutta come oratore forense. Nell'80 a.C. difende la causa di Sesto Roscio entrando in conflitto con sostenitori del regime sillano. Tra il 79 a.C. e il 77 a.C. compie un viaggio in Grecia e in Asia dove studia filosofia e retorica. Al ritorno sposa Terenzia, dalla quale gli nascono Tullia e Marco. Nel 75 a.C. è questore in Sicilia. Nel 70 a.C. sostiene l'accusa dei siciliani contro l'ex governatore Verre, e si conquista fama di oratore principe. Nel 69 a. C è edile. Nel 66 a.C. pretore e dà il suo appoggio alla proposta di concedere a Pompeo poteri eccezionali per la lotta contro il re del Ponto Mitridate. Nel 63 è console e reprime la “congiura” di Catilina. Dopo la formazione del primo triumvirato la sua fama inizia a declinare. Nel 58 a.C. deve recarsi in esilio con l'accusa di avere messo a morte senza processo i complici di Catilina e la sua casa viene rasa al suolo. Richiamato a Roma, vi torna trionfalmente nel 57 a.C.. Fra il 56 a.C. e il 51 a.C. tenta di collaborazione con i triumviri, e continua a svolgere attività forense. Compone il De oratore, il De re publica, e inizia a lavorare al De legibus. Nel 51 a.C. è governatore in Cilicia. Allo scoppio della guerra civile, nel 49 a.C., si schiera con Pompeo. Si reca in Epiro con gli altri senatori, ma non è presente alla battaglia di Farselo. Dopo la sconfitta di Pompeo ottiene il perdono di Cesare. Nel 46 a.C. scrive il Brutus e l'Orator. Divorzia da Terenzia e si unisce in matrimonio con la sua giovane pupilla Publilia, dalla quale divorzierà dopo pochi mesi. Nel 45 a.C. muore la figlia Tullia. Inizia la composizione di una lunga serie di opere filosofiche, mentre il dominio di Cesare lo tiene lontano dagli affari pubblici. Nel 44 a.C., dopo l'uccisione di Cesare, torna alla vita politica; inizia, dalla fine dell'estate, la lotta contro Antonio con le Filippiche. Dopo essere stato abbandonato da Ottaviano, che si stringe in triumvirato con Antonio e Lepido, il nome di Cicerone viene inserito nelle liste di proscrizione. Viene ucciso dai sicari di Antonio il 7 dicembre del 43 a.C..
L'Epistolario
[modifica]Le epistole di Cicerone furono riscoperte tra il 1345 e il 1389 da Petrarca e dal cancelliere e umanista Coluccio Salutati. Complessivamente furono ritrovate circa 864 lettere, delle quali una novantina furono scritte da corrispondenti, e ciò inizialmente provocò un grande entusiasmo, temperato successivamente dal fatto che l'immagine che traspariva di Cicerone non era quella dello strenuo eroe difensore della Repubblica, come si era sempre dipinto nelle sue opere e nelle sue orazioni, ma una versione molto più umana, con le sue debolezze e i suoi aspetti meno retorici, ma certamente affascinanti nella loro genuinità.
Le epistole furono raccolte e archiviate dal segretario di Cicerone, Tirone, fra il 48 e il 43 a.C. Si dividono in 4 categorie:
- Epistole agli amici (Epistulae ad familiares) (16 libri)
- Epistole al fratello Quinto (Epistulae ad Quintum fratrem) (3 libri)
- Epistole a Marco Giunio Bruto (Epistulae ad M. Brutum) (2 libri)
- Epistole ad Attico (Epistulae ad Atticum) (16 libri)
Progetti politici di Cicerone (Ad Atticum, I, 2)
[modifica]Questa lettera fu scritta a Roma nel luglio del 65 a.C. e inviata ad Attico che risiedeva ad Atena. La sua importanza non è nella notizia della nascita del figlio di Cicerone, ma nell'esposizione dei suoi progetti politici. Per la prima volta presentava la sua candidatura al consolato ma era ostacolato da molti nobili che non solo vedevano in lui di cattivo occhio perché homo novus ma anche perché era ritenuto un avversario dopo che aveva costretto all'esilio Verre, rappresentante della classe senatoria, e aveva contribuito a dare i poteri speciali con l'orazione Pro lege Manlia, de imperio Cn. Pompei a Pompeo esponente della classe equites. E così Cicerone mette in atto tutti i meccanismi affinché ci fosse un esito favorevole alla campagna elettorale che stava per iniziare. Intanto ha in animo di difendere Catilina nel processo mosso contro di lui per concussione da P. Clodio Pulcro con la speranza di assolverlo ed averlo dalla sua parte. E poi prega ad Attico di tornare a Roma per dargli una mano nell'acquistare il favore della classe senatoria.
Testo in Latino
[modifica]Cicero Attico s.
1. L. Iulo Caesare C. Marcio Figulo consolibus filiolo me auctum scito salva Terentia. Abs te tam diu nihil litterarum! Ego de meis ad te rationibus scripsi antea diligenter. Hoc tempore catilinam, competitorem nostrum, defendere cogitamus. Iudices habemus, quos voluimus, summa accusatoris voluntate. Spero, si absolutus erit, coniunctiorem illum nobis fore in ratione petitionis; sin aliter acciderit, humaniter feremus. Tuo adventu nobis opus est maturo; nam prorsus summa hominum est opinio tuos familiares nobiles homines adversarios honoti nostro fore.
2. Ad eorum voluntatem mihi conciliandam maximo te mihi usui fore video. Quare Ianuario mense, ut constituisti, cura ut Romae sis.
Traduzione in Italiano
[modifica]Cicerone saluta Attico.
1. Sotto il consolato di Lucio Gallio Cesare e di Gaio Marcio Figulo sappi che mi è nato un figlio maschio, e Terenzia è sana e salva. Non ricevo più tue lettere da tanto tempo! Io, invece, già prima ti ho scritto con tutti i particolari di ciò che ti volevo riferire. In questo momento sto pensando di difendere Catilina, che concorre come me al consolato. Abbiamo come giudici, quelli che vogliamo, col pieno consenso dell'accusatore. Spero che, se verrà assolto, mi sarà molto più legato nell'impostazione della campagna elettorale; in caso contrario, sopporteremo coraggiosamente. Ho assoluto bisogno che tu ritorni al più presto, perché è opinione generalmente diffusa fra la gente che i nobili amici tuoi, si opporranno alla mia carica.
2. Mi accorgo che tu mi sarai di grande utilità per conciliarmi le loro simpatie. Perciò vedi di essere a Roma come hai stabilito, entro gennaio.
Analisi del Testo
[modifica]Cicerone Attico s.: Nota che s.:= salutem sott. dicit. Formula abbreviata di saluto. Tradurre "saluta".
1.
L. Iulio... consolibus: Ablativo assoluto che indica la data. Cesare e Figulo furono consoli nell'anno 64 a.C..
Filiolo: Si tratta di Marco, unico figlio maschio.
Auctum: Sott. esse.
Scito: Imperativo futuro di scio.
Salva Terentia: Ablativo assoluto.
Terentia: È la moglie di Cicerone.
Abs te... literrarum: Espressione è ellittica del verbo che con il tono esclamativo conferisce un senso di amichevole rimprovero all'amico che da tanto tempo (tam diu) non da notizia di sé.
Litterarum: Genitivo partitivo.
Quos voluimus: Una delle parti in causa poteva ricusare i giudici. Cicerone dice che quelli del processo che si preparavano ad affrontare (di Cicerone stesso e di Catilina) erano di loro gradimento.
Accusatoris: Era P. Clodio Pulcro.
Acciderit... feremus: Entrambi futuri con il primo anteriore per la legge dell'anteriorità.
2.
Adventum: Attico era ad Atene.
Opus est: Costruito impersonalmente con dativo della persona (nobis) e ablativo della cosa (adventu).
Honori: Propriamente "carriera, magistratura".
Ad eorum... conciliandum: Gerundivo con valore finale.
Mihi usui: Doppio dativo, di vantaggio (mihi) e di fine (usui).
Ianuario ineunte: "Agli inizi di Gennaio" dell'anno 64.
Cura... sis: "Fa' in modo di essere a Roma".
Romae: "Tale è l'ansia che Cicerone ha di saperlo presso di sé che adopera un complemento di stato in luogo (Romae) quasi che veda già l'amico al suo fianco" (Schwörer - Leonte).
Tra sincerità, piaggeria ed autoesaltazione (Ad Familiares, V, 7)
[modifica]Questa lettera fu scritta nel giugno del 62 a.C. in risposta a due lettere di Pompeo, di cui una inviata in forma ufficiale al Senato e un'altra in forma privata a Cicerone. Nel primo paragrafo Cicerone fa riferimento alla lettera inviata al Senato e in modo ossequioso lui e gli altri senatori si congratulano con Pompeo per il successo ottenuto in Oriente contro Mitridate, re del Ponto. Cicerone fa menzione anche ai democratici che dopo il 70 a.C. erano diventati amici di Pompeo ora invece temono una sua alleanza con la classe senatoria. Nel paragrafo due in maniera quasi vanagloriosa e risentita si lamenta con Pompeo per l'assenza di menzione della sua condotta contro Catilina. Si sente anche un tono minaccioso che fa comprendere come l'azione di Cicerone contro Catilina non era per nulla disinteressata. Il paragrafo tre è un capolavoro di astuzia. Dopo aver rinfacciato a Pompeo il non averlo esaltato e apprezzato per quanto fare gli rinfaccia anche di essersi solo preoccupato di non perdere il supporto dei populares e di aver avuto il supporto di tutto il mondo per quello che aveva fatto. Conclude nel ribadire la sua amicizia a lui e la paragona a quella tra Scipione e Lelio. Molti hanno discusso sul contenuto di questa lettera. C'è chi vi vede una profonda sincerità e chi invece ne ha rilevato un Cicerone vanitoso e esagerato, come il Nencini ha affermato che "non è, la presente, una lettera felice: vanità, adulazione e presunzione la dominano, dalla prima all'ultima parola".
Testo in Latino
[modifica]M. Tullius M. f. Cicero s. d. Cn. Pompeio Cn. f. Magno imperatori
1. S.T.E.Q.V.B.E. Ex litteris tuis, quas publice misisti, cepi una cum omnibus incredibilem voluptatem; tantam enim spem otii ostendisti, quantam ego semper omnibus te uno fretus pollicebar; sed hoc scito, tuos veteres hostes, novos amicos vehementer litteris perculsos atque ex magna spe deturbatos iacere.
2. Ad me autem litteras quas misisti, quamquam exiguam significationem tuae erga me voluntatis habebant, tamen mihi scito iucundas fuisse; nulla enim re tam laetari soleo quam meorum officiorum conscientia, quibus si quando non mutue respondetur, apud me plus officii residere facillime patior: illud non dubito, quin, si te mea summa erga te studia parum mihi adiunxerunt, res publica nos inter nos conciliatura coniuncturaque sit.
3. Ac, ne ignores, quid ego in tuis litteris desiderarim, scribam aperte, sicut et mea natura et nostra amicitia postulat: res eas gessi, quarum aliquam in tuis litteris et nostrae necessitudinis et rei publicae causa gratulationem exspectavi, quam ego abs te praetermissam esse arbitror, quod vererere, ne cuius animum offenderes; sed scito ea, quae nos pro salute patriae gessimus, orbis terrae iudicio ac testimonio comprobari, quae, cum veneris, tanto consilio tantaque animi magnitudine a me gesta esse cognosces, ut tibi multo maiori, quam Africanus fuit, me non multo minorem quam Laelium facile et in re publica et in amicitia adiunctum esse patiare.
Traduzione in Italiano
[modifica]M. Tullio Cicerone figlio di Marco saluta il grande comandante Gneo Pompeo figlio di Gneo
1. Se tu e l'esercito state bene me ne rallegro. Dalle tue lettere, che mandasti pubblicamente, ricevetti insieme con tutti un grande piacere; hai mostrato infatti tanta speranza di tranquillità, quanta io ne promettevo a tutti, sostenuto proprio da te. Ma so questo, che i tuoi vecchi nemici, i nuovi amici, restano colpiti da queste lettere e abbattuti dalla grande speranza.
2. So che le lettere che hai mandato a me, sebbene avevano un piccolo cenno della tua volontà verso di me, mi furono gradite; non sono solito infatti allietarmi per alcuna cosa tanto quanto per la conoscenza dei miei compiti; se un giorno non mi viene risposto per quelli mutuamente, sopporto facilissimamente che ancora più doveri restino presso di me. Non dubito di ciò: che, se le mie grandissime preoccupazioni verso di te uniranno un po' te a me, la repubblica ci spingerà all'unione e alla collaborazione tra di noi.
3. E affinché tu non ignori che cosa io desiderassi nelle tue lettere, te lo scriverò apertamente come chiede la mia natura e la nostra amicizia. Feci quelle cose, delle quali aspettavo qualche congratulazione nelle tue lettere per necessità nostra e della repubblica; (ed) io penso che sia stata omessa da te per aver riguardo e non offendere l'animo di qualcuno. Ma so che le cose, che abbiamo fatto in difesa della salvezza della patria con il giudizio e la testimonianza di tutta la terra, siano riconosciute. Quando verrai, saprai che quelle cose sono state fatte da me con così grande saggezza e grandezza d'animo, che tollererai facilmente che io, non molto minore di Lelio, sia unito nella amicizia e nella repubblica a te molto più grande di quanto non fu l'Africano.
Analisi del Testo
[modifica]M. Tullius... imperatori: La sigla significa Marcus Tullius Marci filius Cicero salutem dicit Cnaeo Pompeio Cnaei filio magno imperatori.
1.
S.T.E.Q.V.B.E.: È la formula classica con il quale si saluta un comandante di truppe che si trova a combattere Si tu exercitusque valetis bene est.
Hoc: Prolettico dell'infinitiva che segue.
Scito: Imperativo futuro di scio.
Veteres hostes, novos amicos: Si riferisce ai democratici che nel 70 a.C. erano amici di Pompeo che si era impegnato a riconsegnare la tribunicia potestas ai tribuni che Silla gli aveva tolto.
Perculsos... deturbatos: I due participi rappresentano lo stato d'animo dei democratici.
2.
Quamquam: Concessivo; richiede l'uso dell'indicativo (habebant). Voluntatis: Indica la buona, favorevole, disposizione d'animo.
Quibus: Riferito ad officiorum, equivale ad et eis.
Officii: Genitivo partitivo.
Illud: Ha valore prolettico.
Si te... adiunxerint: Costruire si mea summa studia erga te adiunxerint parum te mihi.
3.
Ne ignores: Litote, segno che Cicerone parla con sincerità ma anche con soggezione.
Desiderarim: Forma sincopata per desideraverim.
Nostrae: Da collegarsi sia a necessitudinis che a rei publicae.
Causa: Normale ablativo che ha finito di assumere la forma impropriamente di preposizione.
Quam: È et eam.
Nos: Notare il tono enfatico del pluralis maiestatis.
Quae: È et ea.
Ut tibi... patiare: Ordinare ut facile patiare adiunctum esse et in re publica et in amicitia me, non multo minorem quam Laelium, tibi multo maiori quam Africanus fuit.
Quam Africanus fuit... quam Laelium: Da notare la variatio, ci si aspettava quam Laelius fuit invece Cicerone usa l'accusativo attratto dal precedente me.
Africanus: Si tratta di P. Cornelio Scipione Emiliano, l'Africano minore, protagonista nella terza guerra punica, realizza il famoso circolo dove presero parte il filoso Panezio, lo storico Polibio e il poeta Terenzio. Cicerone lo rende protagonista nel De re publica.
Laelium: Amico di Scipione e animatore del suo circolo, fu console nel 140 a.C. e famoso per le qualità morali. Cicerone gli intitola a suo nome il De amicitia.
Patiare: Sta per patiaris.
Pro Archia poeta oratio
[modifica]Pro Archia poeta è un'orazione di Marco Tullio Cicerone, scritta per difendere Aulo Licinio Archia, un poeta accusato di usurpazione della cittadinanza romana. Il testo è famoso per la difesa della poesia e degli studi letterari che contiene. Il poeta era di origine greca, ma visse a Roma per un lungo periodo di tempo. Una lettera di Cicerone a Attico l'anno seguente la vicenda rivela che egli era stato assolto.
Contesto storico
Archias Licinius nacque in Antiochia attorno al 120 a.C. ed arrivò a Roma nel 102 a.C. Era qui quando intraprese una vita da poeta, entrando sotto il patronato del politico e generale romano L. Lucullo. Archia scrisse poemi di carattere militare, e nel 93 a.C., Lucullo lo aiutò ad assumere lo status di cittadino del municipio di Eraclea. Quindi, Archia assunse residenza permanente a Roma, aspettando di acquisire la piena cittadinanza romana. Fu proprio a Roma che Archia divenne il mentore e insegnante di Cicerone nella sua educazione di base in retorica.
Basi dell'accusa e della difesa
Nel 65 a.C., il senato romano promulgò la Lex Papia de Peregrinis, che rigettò false richieste di cittadinanza ed espulse gli stranieri da Roma. È probabilmente sotto questa legge che Archia fu perseguito. Cicerone entrò nel processo in difesa del suo insegnante nel 62 a.C., qualche mese dopo aver pronunciato le famose Orazioni contro Catilina.
L'accusa portò in aula quattro accuse contro Archia:
- Non esisteva alcuna registrazione ufficiale su Archias come cittadino di Eraclea;
- Archia non mantenne residenza permanente a Roma;
- I registri dei pretori nell'89 a.C., che avevano in lista il nome di Archias, erano irreperibili;
- Archia non appariva nei “rotoli” romani del censo, registrati nel periodo in cui egli stesso aveva detto essere stato a Roma.
Cicerone espresse in sua difesa che:
- Non esisteva alcuna registrazione ufficiale di Archia come cittadino di Eraclea perché gli uffici dei registri sono stati notoriamente distrutti durante la guerra civile, ed i rappresentanti della cittadinanza di Eraclea testimoniarono che Archia era effettivamente un cittadino;
- Egli possedeva una residenza a Roma.
- Egli appariva anche nei registri del pretore Metello, che erano molto attendibili;
- Archia non appariva nel censo romano perché era partito in campagna militare con Lucullo ogni volta che ricorreva il censimento.
A causa della stretta associazione di Archia con Lucullo, in questo caso potremmo parlare di un attacco mosso indirettamente a Lucullo da uno dei suoi molti nemici, il più importante dei quali era Gneo Pompeo Massimo. Struttura del discorso
Cicerone divise come segue la struttura formale della dispositio:
- Exordium, linee 1-41
- Narratio, linee 42-89
- Refutatio, linee 90-143
- Confirmatio, linee 144-375
- Peroratio, linee 376-397
Exordium o introduzione
- Etenim omnes artes quae ad humanitatem pertinent habent quoddam commune vinclum et quasi cognatione qam inter se continentur.
- "Infatti, tutte le scienze che interessano l'uomo sono intimamente connesse e unite tra loro da una sorta di affinità. "
Continua con questo approccio nelle linee finali di questa sezione, dove propone che anche nel caso in cui Archia non fosse registrato come cittadino, le sue virtù e qualità dovrebbero motivare il popolo romano ad iscriverlo.
Narratio o attestazione dei fatti
- Lucullos vero et Drusum et Octavios et Catonem et totam Hortensiorum domum devinctam consuetudine cum teneret, adficiebatur summo honore, quod eum non solum colebant qui aliquid percipere atque audire studebant, verum etiam si qui forte simulabant.
- "Aveva grande confidenza, oltre che con i Luculli, con Druso, gli Ottavi, Catone e tutta la famiglia degli Ortensi. Gli veniva tributata la massima considerazione: e a onorarlo non erano solo quelli desiderosi di ascoltarlo e di imparare da lui, ma anche chi trovava conveniente comportarsi così. "
Invece di cominciare con 'cum' ("poiché") come ci si sarebbe aspettato, Cicerone lo sposta al termine della frase, vertendo l'attenzione dell'ascoltatore al peso dei nomi che attesta.
Mentre nomina la legge sotto la quale ad Archia fu garantita la cittadinanza di Eraclea, Cicerone comincia la frase con il verbo, enfatizzando il fatto che la cittadinanza era garantita al suo protetto da molto tempo ('Data est').
Refutatio o rigetto delle accuse
- Est ridiculum ad ea quae habemus nihil dicere, quaerere quae habere non possumus; et de hominum memoria tacere, litterarum memoriam flagitare; et, cum habeas amplissimi viri religionem, integerrimi municipi ius iurandum fidemque, ea quae depravari nullo modo possunt repudiare, tabulas, quas idem dicis solere corrumpi, desiderare.
- "È davvero ridicolo non tener conto delle prove che possediamo e smaniare per ciò che non possiamo avere; passare sotto silenzio le testimonianze di questi uomini e insistere per un pezzo di carta; sono a tua disposizione le testimonianze di un personaggio illustre e attendibile e di un municipio leale e fedele, che non si possono proprio manipolare, e tu le rifiuti e desideri i registri che - sei tu il primo a dirlo - solitamente sono falsificati!"
Exordium (capp. I-II)
[modifica]Nel primo capitolo Cicerone elogia il poeta Archia per gli insegnamenti che gli ha dato. Egli ritiene che tutte le arti sono fondamentali perché tutte collegate insieme da una sorta di parentela. Nel secondo capitolo chiede la possibilità al tribunale, dato la tipologia di processo, di uscire fuori dai canoni comportamentali e di affrontare argomenti anomali rispetto alle abitudini forensi. Indente infatti parlare della poesia e del suo valore nella società, argomento insolito per un processo pubblico e che richiede un linguaggio insolito per le aule di un tribunale.
Testo in Latino
[modifica]Cap. I
1. Si quid est in me ingeni, iudices, quod sentio quam sit exiguum, aut si qua exercitatio dicendi, in qua me non infitior mediocriter esse versatum, aut si huiusce rei ratio aliqua ab optimarum artium studiis ac disciplina profecta, a qua ego nullum confiteor aetatis meae tempus abhorruisse, earum rerum omnium vel in primis hic A. Licinius fructum a me repetere prope suo iure debet. Nam quoad longissime potest mens mea respicere spatium praeteriti temporis, et pueritiae memoriam recordari ultimam, inde usque repetens hunc video mihi principem et ad suscipiendam et ad ingrediendam rationem horum studiorum exstitisse. Quod si haec vox, huius hortatu praeceptisque conformata, non nullis aliquando saluti fuit, a quo id accepimus quo ceteris opitulari et alios servare possemus, huic profecto ipsi, quantum est situm in nobis, et opem et salutem ferre debemus.
2. Ac ne quis a nobis hoc ita dici forte miretur, quod alia quaedam in hoc facultas sit ingeni, neque haec dicendi ratio aut disciplina, ne nos quidem huic uni studio penitus umquam dediti fuimus. Etenim omnes artes, quae ad humanitatem pertinent, habent quoddam commune vinculum, et quasi cognatione qam inter se continentur.
Cap. II
3. Sed ne cui vestrum mirum esse videatur me in quaestione legitima et in iudicio publico--cum res agatur apud praetorem populi Romani, lectissimum virum, et apud severissimos iudices, tanto conventu hominum ac frequentia--hoc uti genere dicendi, quod non modo a consuetudine iudiciorum, verum etiam a forensi sermone abhorreat; quaeso a vobis, ut in hac causa mihi detis hanc veniam, adcommodatam huic reo, vobis (quem ad modum spero) non molestam, ut me pro summo poeta atque eruditissimo homine dicentem, hoc concursu hominum literatissimorum, hac vestra humanitate, hoc denique praetore exercente iudicium, patiamini de studiis humanitatis ac litterarum paulo loqui liberius, et in eius modi persona, quae propter otium ac studium minime in iudiciis periculisque tractata est, uti prope novo quodam et inusitato genere dicendi.
4. Quod si mihi a vobis tribui concedique sentiam, perficiam profecto ut hunc A. Licinium non modo non segregandum, cum sit civis, a numero civium, verum etiam si non esset, putetis asciscendum fuisse. Nam ut primum ex pueris excessit Archias, atque ab eis artibus quibus aetas puerilis ad humanitatem informari solet se ad scribendi studium contulit, primum Antiochiae--nam ibi natus est loco nobili--celebri quondam urbe et copiosa, atque eruditissimis hominibus liberalissimisque studiis adfluenti, celeriter antecellere omnibus ingeni gloria contigit. Post in ceteris Asiae partibus cunctaeque Graeciae sic eius adventus celebrabantur, ut famam ingeni exspectatio hominis, exspectationem ipsius adventus admiratioque superaret.
Traduzione in Italiano
[modifica]Cap. I
1. Se vi è in me, o giudici, un po' di talento - riconosco quanto esso sia modesto - o una discreta esperienza nell'oratoria, nella quale non posso negare di essere un po' versato, oppure una certa conoscenza di essa derivata dallo studio e dall'esercizio delle arti liberali, da cui mai in nessun periodo della mia vita mi sono allontanato, il qui presente A. Licinio, in modo particolare, deve da me pretendere, quasi come un suo diritto, il frutto di tutte queste doti. Quanto più lontano possibile la mia mente ritorna al passato e al ricordo della prima fanciullezza, risalendo tanto indietro, mi accorgo che proprio costui fu il primo ad avviarmi a questi studi e a mettermi sulla strada della loro conoscenza. E se talvolta questa eloquenza, che si è formata grazie all'incoraggiamento di Archia e in virtù dei suoi insegnamenti, fu motivo di salvezza per qualcuno e se da lui appresi bene l'arte con cui posso assistere tutti gli altri e salvare alcuni, senza dubbio a lui sono obbligato ad offrire sostegno e difesa, per quanto è nelle mie possibilità.
2. E affinché nessuno si stupisca di quanto affermo, cioè che in costui vi è una sorta di ingegno naturale che va al di là della cultura oratoria vera e propria, intendo precisare che nemmeno io fui mai esclusivamente dedito a questa sola disciplina, perché tutte le arti che si riferiscono all'uomo hanno un certo vincolo comune e sono tenute insieme quasi da una sorta di parentela.
Cap. II
3. Ma perché a nessuno di voi sembri strano che in un processo legale e in una causa penale che si tiene davanti a un pretore del popolo romano, uomo eccellente, e davanti a giudici di grande moralità, con così cospicua presenza di spettatori, io ricorra a questo tipo di oratoria che non soltanto si allontana dalla consuetudine processuale, ma anche dal linguaggio forense, vi prego in questa causa di concedermi questa libertà, degna di un imputato di tal genere e, come mi auguro, a voi non molesta, che mi consentiate, cioè, mentre difendo un grandissimo poeta e uomo dottissimo, al cospetto di questa assemblea di uomini di varia cultura, di fronte alla vostra disponibilità e infine davanti al presidente dei tribunale, che mi consentiate, ripeto, di parlare un po' più liberamente di studi e di cultura letteraria e di ricorrere per una persona di tal valore, pochissimo coinvolta in processi e cause per la sua vita ritirata e dedita agli studi, ad un nuovo, per così dire, e inconsueto tipo di oratoria.
4. Se avrò la certezza che mi concediate tanto, farò in modo che giudichiate non solo di non dover togliere il qui presente A. Licinio dal numero dei cittadini, essendo già un cittadino, ma persino, se non lo fosse, di doverlo ammettere.
Analisi del Testo
[modifica]Cap. I
1.
Quid: Sta per aliquid come di norma dopo si.
Ingeni: Genitivo partitivo retto da quid.
Iudices: Il numero dei giudici variava da 70 a 75. A norma della Lex Aurelia iudiciaria del 70 a.C. i giudici venivano sorteggiati dai tre ordini (senatori, cavalieri e tribuni erariali) in numero uguale. A presiedere la seduta era un pretore. Nel processo di Archia a presiedere era il fratello di Cicerone, Quinto.
Quam sit exiguum: Proposizione interrogativa indiretta.
Exercitatio: Cicerone aveva già partecipato a tanti processi prima.
Dicendi: Genitivo del gerundio retto da exercitatio.
Non infitior: Litote, per fateor. Infitior è composto infatti da in + fateor.
Mediocriter: Avverbio da mediocris indica un comportamento intonato.
Versatum: Puo' essere inteso come passivo del verbo verso.
In qua... versatum: Sarebbe un esametro (in qua / me non / infiti / or medi / ocriter / esse ver / satum) se la o di mediǒcriter non fosse, in prosa, considerata breve.
Huiusce rei: L'oratoria.
Aliqua: Viene mantenuta la forma normale perché l'indefinito è staccato da si.
Artium: Sono le arti liberali (grammatica, retorica, poesia e filosofia).
Studiis ac disciplina: Endiadi.
Nullum... tempus: Il tempo è personificato.
Earum rerum omnium: Sono le qualità di cui Cicerone ha parlato prima.
Vel: Rafforzativo di in primis.
Hic: Ha valore deittico, Archia è infatti presente al processo.
A. Licinius: Cicerone usa ad indicare Archia il prenome (Aulus, che era il prenome dei Murena imparentanti con la gens Licinia) e il nomen (Licinius, nome gentilizio dei Luculli che avevano adottato il poeta greco), per indicare la sua romanità indiscutibile.
Fructum... reptere: Espressione tipica del linguaggio giuridico.
Si quid est in me... debet: Lungo periodo strutturato in maniera simmetrica perfetta. Presenta un periodo ipotetico di primo tipo con tre protasi (Si quid est in me ingeni / si qua execitatio dicendi -sott. in me est- / si huiusce ratio aliqua -sott. in me est-). In tutte e tre c'è aliquis ma in forme diverse (quid / qua / aliqua). Tutte e tre presentano una espansione tramite una proprosizione relativa (quod sentio / in qua... non infitior / a qua ego... confiteor). Ogni relativa regge un'altra proposizione. La prima una interrogativa indiretta (quam sit exiguum), la seconda e terza un'oggettiva (me... esse versatum / nullum... tempus abhorruisse). La principale, cioè l'apodosi del periodo ipotetico, è posta alla fine (hic A. Licinius a me reptere... debet). Struttura complessa ma perfetta, simmetrica e chiara.
Longissime... spatium... temporis... pueritiae memoriam: Denota una realtà spazio-temporale.
Mihi principem: Notare l'efficave avvicinamento delle due parole.
As suscipiendam et ad infrediendam rationem: Preposizione finale.
Quod si: Formula di passaggio da un'argomentazione ad un'altra.
A quo... debemus: Ordinare huic ipsi, a quo accepimus id quo possemus opitulari ceteris et servare alios, profecto debemus ferre et opem te salutem, quantum est situm in nobis.
A quo: Il relativo è prolettico di huic... ipsi.
Id: L'arte della parola.
Accepimus: Plurale maiestatis come anche possemus, nobis, debemus.
Quo... possemus: Il relativo regge possemus ed ha valore finale per alcuni, consecutivo per altri.
Ceteris alios: Notare differenza semantica tra le due parole. Ceteris si riferisce a "tutti gli altri" che la parola di cicerone poteva aiutare (opitulari). Alios si riferisce in senso più restrittivo agli "altri" che la parola dell'oratore poteva salvare (servare) in determinati processi.
Quantum... in nobis: Anche questa è espressione di modestia.
2.
Ac: Al posto di et perché è all'inizio di frase.
Ne... miretur: Finale negativa.
Quis: Per aliquis, come di norma dopo il ne.
A nobis: Altro plurale maiestatis.
Ita: La sua presenza si giustifica che, con valore prolettico, anticipa la successiva causale-dichiarativa (quod... sit).
Alia quaedam: Quaedam è da intendersi come rafforzativo di alia.
Facultas... ingeni: Si allude alle capacità versificatorie di Archia.
Sit: Il congiuntivo si spiega perché l'eventuale obiezione è di un immaginario interlocutore non di chi scrive.
Ratio aut disciplina: Endiadi.
Ne nos... fuimus: Dipende da una sottintesa espressione del tipo "si sappia che".
Qam: Serve ad attenuare il senso della metafora.
Cap. II
3.
Cui: Per alicui, come di norma dopo ne; pertanto ne cui = ut nemini.
Vestrum: Genitivo partitivo.
Me: Soggetto della successiva proposizione soggettiva (hoc uti genere).
In questione legittima: "in una causa relativa ad una legge" si tratta della Lex Papia, del 65, che prevedeva l'esilio per chi arbitrariamente si fosse appropriato della cittadinanza romana.
In iudicium publico: "in un processo pubblico" è infatti un processo pubblico non privato.
Hoc... dicendi: Proposizione soggettiva è retta da ne... mirum esse videatur.
Quod... abhorreat: Relativa con valore consecutivo. Quod è accordato con il precedente genere.
Consuetudine iudiciorum: Cicerone allude alla consuetudine degli avvocati in giudizio di occuparsi solo della difesa del proprio cliente o all'attacco dell'avversario giocando esclusivamente su motivi giuridici.
Forensi sermone: Allude al suo linguaggio che non potrà essere giuridico dovendo parlare di poesia. Quaeso a vobis: È proposizione principale; notare costruzione di quaeso (= quaero) con a + ablativo, come di norma.
In hac causa: Notare il tono enfatico del dimostrativo che connota l'eccezionalità della causa.
Hanc veniam: Hanc è prolettico di ut... patiamini. Accomodatam... non molestam: Disposizione chiastica l'intonazione degli elementi che rende efficace l'intonazione stilistica.
Ut me... dicendi: Ordina ut patiamini me, dicentem pro summo poeta atque eruditissimo homine, hoc concurus hominum litteratissimorum, hac vestra humanitate, denique hoc praetore exercente iudicium, loqui paullo liberius de studiis humanitatis ac litterarum et uti prope novo quodam et intusitato genere dicendi in persona eiusmodi, quae propter otium ac studium minime tractata est in iudiciis periculisque.
Ut... patiamini: Finale esplicativa di hanc veniam.
Me: Soggetto di loqui e di uti.
Dicentem: Predicativo di me con valore temporale.
Hoc... hac... hoc: Poliptoto in anafora.
Hoc concursu... litteratissimorum: Ablativo assoluto. Richiama il precedente tanto conventu hominum ac frequentia.
Hac vestra humanitate: Ablativo di causa ma può essere inteso anche come ablativo assoluto. Si vuole vedere una simmetria in inverso in questa con la parte precedente. Se lì Cicerone aveva parlato prima del pretore, poi dei giudici poi ancora del pubblico degli uomini di cultura [1) apud praetorem; 2) apud severissimo iudices; 3) tanto conventu hominum ac frequentia] nella seconda parte parla priam del pubblico e degli uomini di cultura, poi dei giudici e infine del pretore [1) hoc concursu hominum litteratissimorum; 2) hac vestra humanitate; 3) hoc... prateroe exercente iudicium]. Anche di qui si deduce la studiatissima struttura delle parti.
Hoc... praetore exercente: Ablativo assoluto.
De studiis humanitatis ac litterarum: Riprende la precedente espressione hominum litteratissimorum e vestra humanitate.
Liberius: Compartivo assoluto.
In persona: Ablativo di stato in luogo.
Otium ac studium: Endiadi.
In iudiciis periculisque: Altra endiadi.
Tractata est: Frequentativo di traho.
Uti: Questo verbo regge l'ablativo (genere). È coordinato a loqui.
4.
Quod: Si riferisce al permesso di parlare liberamente di un argomento insolito per il foro.
Tribui concedique: Due sinonimi il cui è dovuto al fatto che Cicerone vuole sottolineare il concetto espresso. Ma è possibile pure che si tratti di un espediente semplicemente retorico dovuto all'enfasi oratoria.
Si... sentiam: Protasi del periodo ipotetico della realtà, la cui apodosi (perficiam) regge la consecutiva (ut... putetis) da cui, a sua volta, dipende non solo segregandum, ma anche l'apodosi (adsciscendum fuisse) di un periodo ipotetico dell'irrealtà la cui protasi è costituita da si non esset.
Hunc: Anche qui il dimostrativo ha valore deittico.
Non segregandum: Sott. esse.
Cum sit civis: Nota l'intensità espressiva di questa causale.
Verum etiam... fuisse: "ma anche che, se pure non lo fosse, avrebbe dovuto essere accolto" nel numero dei cittadini.
Peroratio (cap. XII)
[modifica]Testo in Latino
[modifica]Cap. XII
31. Qua re conservate, iudices, hominem pudore eo, quem amicorum videtis comprobari cum dignitate tum etiam vetustate; ingenio autem tanto, quantum id convenit existimari, quod summorum hominum ingeniis expetitum esse videatis; causa vero eius modi, quae beneficio legis, auctoritate municipi, testimonio Luculli, tabulis Metelli comprobetur. Quae cum ita sint, petimus a vobis, iudices, si qua non modo humana, verum etiam divina in tantis ingeniis commendatio debet esse, ut eum qui vos, qui vestros imperatores, qui populi Romani res gestas semper ornavit, qui etiam his recentibus nostris vestrisque domesticis periculis aeternum se testimonium laudis daturum esse profitetur, estque ex eo numero qui semper apud omnis sancti sunt habiti itaque dicti, sic in vestram accipiatis fidem, ut humanitate vestra levatus potius quam acerbitate violatus esse videatur.
32. Quae de causa pro mea consuetudine breviter simpliciterque dixi, iudices, ea confido probata esse omnibus. Quae autem remota a mea iudicialique consuetudine, et de hominis ingenio et communiter de ipsius studio locutus sum, ea, iudices, a vobis spero esse in bonam partem accepta; ab eo qui iudicium exercet, certe scio.
Traduzione in Italiano
[modifica]Cap. XII
31. In conclusione, o giudici, assolvete quest'uomo, il cui merito è tale da essere apprezzato, come vedete, da amici tanto prestigiosi quanto anziani; un uomo, inoltre, di notevolissimo talento, come è giusto che sia stimato, voi stessi lo vedete, chi è stato ricercato da uomini di ingegno altrettanto grande un uomo, per di più, la cui condizione processuale è tale da essere garantita dal sostegno della legge, dall'autorità di un municipio, dalla testimonianza di Lucullo, dalle liste di Metello. Stando così le cose, o giudici, se è vero che in tali ingegni vi è come un segno di privilegio non solo umano, ma anche di origine divina, vi chiedo di accogliere sotto la vostra tutela, in modo che possa apparire assolto dalla vostra umanità, piuttosto che punito dalla vostra severità, colui che ha sempre reso onore a voi, ai vostri comandanti, alle imprese del popolo romano, colui che anche ai recenti pericoli civili, che hanno riguardato me e voi insieme, promette di dare eterna testimonianza di gloria, e che appartiene a quella categoria di persone che sempre e universalmente furono giudicati e detti sacri.
32. Quanto avevo da dire sulla materia, o giudici, l'ho esposto, come è mia abitudine, in modo semplice e sintetico e confido che abbia riscosso il generale consenso. Quanto invece ho argomentato in modo inconsueto rispetto al linguaggio forense e alla prassi processuale, sul talento del personaggio e in generale sulla sua opera letteraria, mi auguro, o giudici, che sia accolto benevolmente da voi; il pretore, ne sono certo, non può non mostrarsi ben disposto verso di me.
Analisi del Testo
[modifica]31.
Quare: Inizia così la conclusione dell'arringa di Cicerone in favore di Archia con la richiesta dell'assoluzione, come diremmo oggi, con formula piena.
Conservate: Può avere sia il significato di "conservare" ("mantenere nella città") ritenendo Archia civis Romanus qual è a tutti gli effetti che di "salvare" ("assolvere").
Quem: Riferito a pudore.
Videtis: Il congiuntivo qui è richiesto sia dall'attrazione modale, sia dal valore consecutivo della relativa.
Comprobetur: Il congiuntivo è qui devoluto a valore consecutivo della relativa.
Quare... comprobetur: C'è una struttura simmetrica degli elementi in questo lungo e complesso periodo. Ognuno dei tre ablativi di qualità (pudore, ingenio, causa) è seguito dalla proposizione relativa che ne esplica e commenta il significato. L'ultima relativa (quae... comprobetur) è caratterizzata dalla presenza di quattro ablativi di causa efficiente (beneficio, auctoritate, testimonio, tabulis) ognuno dei quali seguito da un genitivo (legis, municipi, Luculli, Metelli) in prefetta rispondenza simmetrica. Questo ordine è voluto da una volontà di Cicerone il quale, trovandosi a tirare le conclusioni del suo intervento, fa dell'ordine espositivo un mezzo per chiarire definitivamente le sue argomentazioni.
Petimus: Costruito come di norma con a e ablativo della persona a cui la richiesta è rivolta. Notare che petimus regge ut che a sua volta regge sic... accipiatis, che a sua volta poi regge ut... videatur. Con petiamus inizia la vera e propria peroratio preceduta, come si è visto, dal richiamo delle prove discusse nel corso dell'orazione.
Qua: Sta per aliqua, come di norma dopo si.
Ut... accipiatis: Proposizione finale.
Qui vos... res gestas: Nota il Silvestro: "i tre membri sembrano cerchi di un'ombra sonora che si slarga progressivamente non solo concettualmente (prima i giudici, poi i condottieri romani, infine tutto il popolo romano), ma anche nel numero delle parole: prima una (vos), poi due (vestros imperatores), infine quattro (populi Romani res gestas)".
Periculis: Ancora una volta allude alla congiura di Catilina.
Itaque: È et ita.
Ut... videatur: Proposizione consecutiva retta da sic... accipiatis.
Esse videatur: Consueta clausola ciceroniana.
32.
Quae: Prolettico del dimostrativo ea.
De causa: Cicerone allude alle questioni puramente giuridiche affrontate nel corso della sua orazione.
Confido: Questo verbo solitamente richiede l'infinito futuro ma qui l'autore "confida" che l'approvazione alle sue tesi sia già stata data di qui l'infinito perfetto (probata esse).
Omnibus: Dativo d'agente.
Quae: Anche questo relativo e prolettico del dimostrativo ea.
Spero: Valgono per questo verbo le stesse cose dette per confido.
Ab eo: È riferito al pretore che ha diretto il processo. Si tratta del fratello di Cicerone, Quinto, ma per tutta l'orazione per una sorta di discrezionalità non è mai stato indicato con il nome.
Certo scio: Cicerone sa che il fratello, da uomo colto, ha saputo apprezzare il suo intervento e condividerlo. Ricorda che certo scio è diverso da certe scio che significa "è certo che io so".