Catullo (superiori)

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Catullo (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura latina per le superiori 2
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Storia di un'anima[modifica]

Sirmione, busto di Catullo

L'unica certezza su Valerio Catullo è che fosse veronese. Di lui sono incerti sia il praenomen sia le date di nascita e di morte. È probabile che si chiamasse Gaio e che sia vissuto tra l'84 a.C. e il 54 a.C.. La vita di Catullo è incentrata su un unico grande avvenimento: l'amore per Lesbia. Figlio di una agiata famiglia, tanto che Cesare fu ospite del padre nelle sue soste in Cisalpina, visse tra Roma, Tivoli, la Sabina, Verona e Sirmione sul Garda. Ma fu a Roma che si compì l'evento che rivoluzionò la sua breve vita e che diede il la al primo grande poeta d'amore della latinità e forse anche il più romantico. Si è ipotizzato che sia morto per un "mal sottile" ereditario, essendo morto anche un suo fratello in giovane età durante un viaggio nella Troade. La donna amata, che egli chiama con lo pseudonimo Lesbia, secondo l' Apologia di Apuleio sarebbe Clodia e secondo un'ampia maggioranza di storici sarebbe la sorella mediana delle tre sorelle di P. Clodio, moglie di Q. Metello Celere, bersaglio di Cicerone nell'orazione Pro Caelio. Questo è confermato dal ritratto che ce ne dà Catullo: una donna dissoluta e perversa, abile a ingannare sia il marito che gli amanti, pronta a passare da uno all'altro adoratore, rotta a tutti i vizi, e dal c. 58 bollando la dissolutezza di Lesbia il poeta si rivolge proprio a Celio. Catullo, che provava per Lesbia lo stesso amore che provava Saffo nelle sue opere, volle proprio richiamare lei con questo nome e la raffinatezza delle fanciulle dell'isola di Lesbo. E proprio da Saffo derivò i momenti del suo amore geloso, disperato e fatale fino allo schianto della rottura definitiva. Catullo al modello fluido e dolce greco aggiunse però la passionalità e il brivido di religioso terrore romano. Catullo, in tutta la sua giovinezza poetica, espresse una istintività di sentimenti che si muovono su esperienze estreme: dall'abbandono al totale godimento della gioia d'amore, allo smarrimento di fronte al dolore. Si passa dall'orgia di baci che vorrebbe da Lesbia quanti i granelli di sabbia o le stelle del cielo (cc. 5, 7) alla caducità che stende un velo d'ombra nel cielo corrusco della gioia amorosa e presto le nubi oscurano il sole della felicità del poeta. I tradimenti di Lesbia portano alla rottura e Catullo, scorgendo la freddezza di lei, punta i piedi come un ragazzo puntiglioso e testardo (c. 8) ricorda le gioie svanite ("Rifulsero per te un tempo giorni beati") e con un nodo di pianto che gli serra la gola esorta disperatamente se stesso a resistere al suo amore. Intanto, un po' per far dispetto a Lesbia, un po' per superare questo dolore, un po' per la giovane esuberanza, si getta in una vita di allegra scapataggine con amici e storie di facili amorazzi ed equivoche avventure. Proprio in questa euforia egli si sente superiore a tutte le terrene grandezze e quindi lancia invettive contro chiunque, non risparmiando né di irridere Cesare né di canzonare, forse, Cicerone.

Catullo da Lesbia, dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1865)

Catullo però riesce a riprendere una relazione con Lesbia: questa viene annunciata con una esplosione di gioia nel carme 107. Ma la gioia dura davvero poco e arriva dopo poco la seconda e definitiva rottura irreparabile. È proprio qui che avviene uno sconvolgimento totale nell'animo di Catullo, che gli fa vivere sentimenti contrastanti tra il disprezzo e il desiderio e che lo portano ad una affranta implorazione della pietà degli dei. Lesbia invia a lui amici comuni per cercare una nuova conciliazione, ma lui la respinge e scrive l'altra ode saffica del Liber (c. 11) che segna il distacco definitivo, come la prima aveva segnato il primo accenno di gelosia. La sofferenza lo porta a far riaffiorare in se la ingenua pietà dei primi anni e nel carme 76, la prima grande elegia subiettiva della latinità, che lo porta a credere nell'esistenza di un dio che rende bene per bene e pertanto, in una rivendicazione puerile della sua bontà e purezza, cerca di ottenere la commiserazione degli dei. La morte del fratello diletto dà un ulteriore colpo al momento di crisi di tutto l'essere di Catullo. Fu forse anche questa a spingerlo a ritornare alla purezza dei primi anni e al disprezzo per quell'amore degradante. Con Elvio Cinna ed altri amici seguì il pretore C. Memmio in Bitinia e di ritorno dal viaggio visitò la tomba del fratello nella Troade. Il c. 101 è un sobrio ricordo di questo evento e del fratello, ormai morto in quella terra lontana, in cui il dolore nella sua forma agevole di toni e frasi rituali rappresenta la palingenesi morale che lo strazio ha prodotto nello spirito del poeta.

Il poeta e l'artista[modifica]

Il poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefano Bakalovich.

Discusse è la composizione del Liber che ci è pervenuto e che raccoglie i componimenti catulliani. È divisibile in tre sezioni: i primi 60 carmi sono quasi tutti epigrammi in vario metro e costituiscono le cosiddette nugae, così chiamate proprio da Catullo nella dedica a Cornelio Nepote; i seguenti carmi, dal 61 al 68, sono di maggior impegno artistico e vanno sotto il nome di carmina docta; infine, i carmi dal 69 al 116 sono composti da epigrammi in distici elegiaci e per argomento in nulla differiscono dalle nugae. In Catullo, più che negli altri, si percepisce il desiderio di nuove esperienze d'arte e di costume ma ugualmente permane in lui la romanità di leggero sentore barbarico e che stride invece con la ricerca della raffinatezza sul piano tecnico. Egli è allo stesso tempo un modernista raffinato e un arcaico. In lui risulta difficile distinguere l'uomo dal poeta. Questa natura si ritrova in ogni aspetto sia nei componimenti in cui racconta l'amore per Lesbia sia in quelli in cui parla della sua licenziosa bohème studentesca. Momenti di vita dove si incontrano vari personaggi come l'amichetta di Varo, o Arrio con la sua vocali iniziali e c aspirate, o il maestro di scuola che non sapendo come sdebitarsi dona al suo avvocato un antologia di antichi poetastri, o il popolo che si meraviglia di come Calvo abbia fiato per tornare nel foro. Mai l'epigramma ellenistico era riuscito ad immortale momenti di vita in modo così alto. L'esperienza greca rivive in Catullo, che rappresenta l'avanguardia di quello che poi sarà lo stile di Orazio. L'elegia e l'epigramma ellenistico si arricchiscono di una personalissima commozione e di un nuovo più sanguigno realismo. Una commozione che redime anche i versi più piatti e scurrili con un tocco di improvvisa estrema grazia. Un realismo che con le cadenze del sermo vulgaris, la sovrabbondanza di diminutivi e coloriti stilistici assume toni di squisita leggerezza. Catullo si tenne fedele alla scuola ellenica per quanto riguarda la versificazione ma non senza qualche difficoltà od impaccio. Usa l'esametro che è già mirabilmente più duttile di quello lucreziano e più vicino a quello virgiliano ma anche una varietà di altri giambi da cui emerge il galliambo e l'endecasillabo falecio la cui tecnica è perfetta, ma il pentametro presenta ancora difficoltà di adattamento con un caso dove la s finale è obliterata e giudicata subrustica da Cicerone (qui si rivede il contrasto tra moderno e arcaico). Catullo è il poeta di pochi sentimenti che analizza in profondità, ma a differenza di Lucrezio e Virgilio non ha la capacità di rifondare il mondo da capo e invitare l'umanità ad specchiarsi nelle loro opere ed ad intraprendere un faticoso cammino. Ne sono una dimostrazione i carmina docta che rappresentano l'opera più impegnata di Catullo, e che che richiamano gli epilli di Valerio Catone, di Calvo, di Cinna ecc.. In questi carmi ha voluto esaltare il culto per la poesia e quindi l'idolatria del bel verso, della bella immagine e dell'espressione cesellata tipico del gusto alessandrino. Il c. 65, che precede la traduzione del Βερενίκης πλόκαμος di Callimaco e la dedica ad Ortensio, sembra introdurre proprio i carmina docta che per il loro contenuto formeranno un libellus a parte e che non si discosteranno dal modello callimacheo (carmina Battiadae). I cc. 61 e 82 sono due epitalami, il primo più aderente al cerimoniale romano, più esuberante ed italico, il secondo più letterario, sorvegliato e composto. Il c. 63 canta nel ritmo del galliambo il mito orgiastico del giovane Atti, che si consacra al culto di Cibele. Il c. 64 de nuptiis Pelei et Thetidos è il più squisitamente alessandrino nella tecnica, già esperimentata da Mosco nell' Europa, di inserire un epillio in un altro. Il c. 67, il dialogo con la porta, introduce nel severo ambiente dei carmina docta il tono scollacciato dei carmi più traviali. Il carme 68 infine, sulla cui unità arde da tempo una contesa forse insolubile, intreccia al mito di Protesialo e Laodamia i due motivi fondamentali della spiritualità catulliana nell'ultimo periodo della vita del poeta, il dolore per la morte del fratello e il ricordo dell'amore di Lesbia. Per il riferimento reiterato alla morte del fratello si può dedurre che la raccolta rimanda all'ultimo periodo della vita di Catullo. Al di là del più sapiente uso della tecnica metrica quello che, però, continua a toccare è la particolare sensibilità e grandezza della pena d'amore che corrode il poeta. Tutto l'impianto è volto a rappresentare la fedeltà in amore (sia attraverso il Βερενίκης πλόκαμος sia i due epitalami vantano la gioia delle nozze mentre il c. 64 fa risuonare il lamento di Arianna abbandonata). Questo carattere culmina con il c. 68, che il poeta invia all'amico Manlio o Allio, testimone sia del suo amore per Lesbia che del cruccio per il distacco dalla stessa. In questa fase il pianto disperato è, però, solo per il fratello e non più per Lesbia, per la quale è rivestita di un velato senso di mito. Catullo, per la prima volta, avvicina l'amore che un poeta prova a quello dei miti degli dei e degli eroi perseguendo, forse, i modelli della lirica colofonica e dello smirno o colofonio, Mimnermo ad Ermesianatte oltre che Filita e Partenio. E nello stesso tempo ci fa meglio intendere lo spirito con cui nei carmina docta ha proceduto alla scelta e alla trattazione dei miti. Catullo fu molto ammirato e imitato nei secoli XV e XVI, specie dai poeti dell'umanesimo napoletano (il Panormita e il Pontano), e soprattutto, come Marziale, sotto l'aspetto della lascivia e dell'epigrammatica satira e scommatica. Nell'età contemporanea è stato particolarmente apprezzato per la sua spontaneità, che è apparsa una luminosa eccezione nella poesia latina; il Pascoli ne ha riecheggiato alcuni degli atteggiamenti più teneri e raffinati; il Panzini ci ha dato il suo più bel romanzo rievocando con finezza il mondo più intimo della poesia catulliana.