Carlo Emilio Gadda (superiori)
Autore di romanzi estremamente complessi, Gadda ha rivoluzionato la narrativa italiana del Novecento. Attraverso l'uso del pastiche ha descritto nelle sue opere la trasformazione della società italiana verso la modernità.
La vita
[modifica]Carlo Emilio Gadda nasce a Milano il 14 novembre 1893, in una famiglia della media borghesia. Il padre è un imprenditore tessile, mentre la madre Adele Lehr è un'insegnante di lettere. Nel 1899 cadono però in rovina a causa della concorrenza dei tessuti giapponesi; a peggiorare la situazione sono gli sperperi dovuti alla costruzione di una villa in Brianza. Infine, nel 1909 il padre muore, e la responsabilità di mantenere economicamente la famiglia ricade tutta sulla madre. La declassazione sociale segna in maniera indelebile il giovane Gadda: da questi sentimenti di dolore e frustrazione, destinati a lasciare una traccia nella sua produzione letteraria, scaturirà un profondo rancore nei confronti dei genitori.
Agli anni del liceo risale la sua formazione umanistica e positivistica, che sarà una caratteristica della sua personalità e delle sue opere. Nonostante la sua predisposizione per gli studi letterari, è costretto dalla madre a seguire corsi universitari di ingegneria. In seguito Gadda nutrirà insofferenza verso la professione di ingegnere, vista come qualcosa di mortificante. Questo è inoltre un ulteriore elemento che accrescerà il cupo rancore dello scrittore verso la madre.[1]
Nel 1915 Gadda abbandona gli studi universitari e parte volontario per il fronte. Animato da spirito eroico e patriottico, ispirato dal nazionalismo di quegli anni e dalla tradizione risorgimentale, il futuro scrittore considera la guerra un'occasione di riscatto sia per la nazione (dove poteva instaurarsi un modello di vita civile ordinata) sia per se stesso. Spera infatti che l'esperienza bellica lo liberi dalle sue frustrazioni e angosce, ma queste aspirazioni si infrangeranno contro la dura realtà. Il suo ideale di ordine si scontra con la disorganizzazione in cui versa l'esercito, e le sue sofferenze non si attenuano, ma anzi si acuiscono. Tre episodi lo segnano profondamente: la morte in guerra del fratello maggiore, la prigionia in Germania dopo la disfatta di Caporetto, i disordini sociali che caratterizzano l'Italia del primo dopoguerra.
Gli scioperi dei primi anni successivi alla Grande guerra sono, agli occhi di Gadda, un attentato contro il suo ideale di vita civile e ordinata. Aderisce così al fascismo, che vede come una forza in grado di rigenerare il paese e ristabilire l'ordine. Ben presto però si rende conto che il regime non offre soluzioni, ma anzi finisce per aggravare la situazione italiana. Ne nasce una profonda avversione, nascosta dietro un conformismo di facciata, ma che esplode nelle opere pubblicate nel dopoguerra, come Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e Eros e Priapo.
Negli anni della dittatura, Gadda si laurea in ingegneria e segue, senza terminarli, i corsi di filosofia. Lavora come ingegnere in varie industrie elettriche e chimiche, professione che lo porta a uscire dall'Italia. Vive in Argentina, Francia, Belgio, Germania. Infine si stabilisce a Roma presso il Vaticano. Il suo esordio letterario avviene nel 1926, quando appare su Solaria la raccolta di prose liriche Studi imperfetti. Le edizioni di Solaria pubblicano anche i suoi due volumi successivi, La Madonna dei filosofi e Il castello di Udine. Si trattava di opere raffinate, lontane dai gusti del grande pubblico. Per questo motivo, per anni la fama di Gadda rimane confinata agli ambienti letterari.
Nel 1931 lascia la professione di ingegnere; la riprenderà però varie volte, spinto da necessità economiche. La morte della madre nel 1936 scatena in lui sconvolgenti sensi di colpa. Da questo trauma nasce il romanzo La cognizione del dolore, che sarà pubblicato solo in parte sulla rivista Letteratura tra il 1938 e il 1941. Tra gli anni quaranta e cinquanta si trasferisce poi a Firenze, dove stringe rapporti con gli ambienti culturali della città, frequentati anche da Eugenio Montale, Carlo Bo e Tommaso Landolfi.
La seconda guerra mondiale porta a nuove difficoltà economiche per lo scrittore. Nel 1950, grazie ad alcuni amici letterati, ottiene una collaborazione con il terzo programma della Rai, dove lavora fino al 1955. La pubblicazione del Pasticciaccio nel 1957 lo pone improvvisamente all'attenzione del grande pubblico. La sua fama si accresce ulteriormente dopo l'uscita in volume, nel 1963, della Cognizione del dolore. Gadda tuttavia accoglie questo successo con fastidio. Trascorre i suoi ultimi anni in solitudine, tormentato da malattie fisiche e soprattutto dalle sue angosce e ossessioni. Isolato dal mondo, insofferente alla curiosità che i media hanno nei suoi confronti, muore a Roma il 21 maggio 1973.[2][3]
La realtà come labirinto caotico: il pastiche
[modifica]Le opere di Gadda si caratterizzano per uno stile personalissimo, che mescola linguaggio quotidiano e gerghi specialistici, parole dialettali (anzitutto milanesi, ma anche romanesche, napoletane e altre), termini tecnici, vocaboli arcaici o illustri, latinismi, parole straniere, neologismi di sua invenzione. Tutti questi registri non solo coesistono nella sua prosa, ma si fondono e si scontrano, al punto che all'interno di una stessa frase si possono trovare parole appartenenti ad ambiti diversi. Si tratta della tecnica nota come pastiche (che in francese significa "pasticcio"). Nel fare questo Gadda si ricollega a un filone molto importante della letteratura italiana, quello del plurilinguismo, che ha sempre avuto una funzione di rottura rispetto alle istituzioni letterarie. Un tipico esempio di questo procedimento è il latino maccheronico utilizzato da Teofilo Folengo nei suoi poemi.
Oltre a mescolare linguaggi e registri, Gadda ricorre spesso al procedimento dell'accumulazione caotica, con lunghi elenchi di elementi tratti da realtà tra di loro molto diverse. A questo si aggiunge l'uso di metafore ardite e immagini bizzarre; lo scrittore inoltre tende a deformare le parole e a caricarle di doppi sensi. Questo virtuosismo risponde alla concezione che Gadda ha della realtà. La società, le persone, la natura e in generale tutte le cose gli appaiono come un caos, un guazzabuglio di cose immonde. Questa concezione ha due matrici fuse tra loro e inestricabili l'una dall'altra: una razionale e filosofica, e una psicologica, legata alle nevrosi dello scrittore e ai traumi subiti.
Al caos Gadda contrappone la sua aspirazione all'ordine, che dovrebbe coinvolgere sia la realtà storica e sociale sia quella naturale. Il mondo però si è allontanato dall'ordine, in un processo di degradazione irreversibile. La realtà è esplosa in un labirinto, in cui non è possibile riconoscere tra le cose una concatenazione lineare di causa-effetto. Esistono piuttosto varie concause che la ragione, diversamente da quello che vorrebbe Gadda con la sua formazione positivista, non riesce a seguire e a comprendere. Gli oggetti si allontanano dalla perfezione dell'ordine originale e si deformano, degenerano in cose oscene e degne di provocare disgusto (nella Cognizione del dolore vengono definite con l'aggettivo "barocco").
La deformazione non riguarda solo gli oggetti e le cose naturali, ma anche la realtà sociale. L'ordine civile ideale degenera nel caos, dove trionfano la menzogna, l'ipocrisia e il cattivo gusto. È la società segnata dall'arrivismo dei parvenu e diretta da una borghesia che ostenta il proprio potere e la propria ricchezza. Esempi tipici di questo caos sono le ville costruite borghesi in Brianza, a cui Gadda dedica alcune pagine celebri della Cognizione del dolore.[4] E se il reale è un "pasticcio", anche il linguaggio usato per descriverlo non può che essere il pastiche.
L'uso di termini bassi risponde a un'esigenza mimetica, allo scopo di mettere in luce la stupidità della realtà. Allo stesso tempo, però, gli oggetti degradati esercitano fascino sullo scrittore. Spesso Gadda indugia per pagine intere nella descrizione di oggetti insignificanti, soffermandosi sui particolari più minuti. Viceversa, l'uso di un linguaggio aulico e ricercato esprime il suo bisogno di ordine e autenticità. Ma anche questi termini elevati, usati nelle descrizioni, finiscono per allargare l'immagine mostruosa degli oggetti. Allo stesso modo l'uso di metafore cerca di rispondere al bisogno di redimere le cose, nascondendone l'oscenità; tuttavia, anch'esso dà il senso di una realtà multiforme che conosce continua metamorfosi.
Questa visione del mondo si riflette anche nella struttura delle sue opere. Da un lato, la sua aspirazione all'ordine lo porta a prendere a modello i romanzi dell'Ottocento e a costruire strutture narrative compatte che rispecchino l'organicità del mondo. Dall'altro, però, la ricerca dell'ordine si rivela impossibile e il romanzo finisce per esplodere tra le mani dell'autore. Le digressioni in cui si perde il narratore portano a disgregare il romanzo in molti frammenti. Anche le descrizioni di particolari minuti, di cui si è parlato, portano l'autore a perdere il filo della narrazione. Inoltre, un'altra caratteristica dei romanzi di Gadda è il fatto che restino incompiuti: è un segno del fallimento della sua ricerca di ordine.[5]
Il Giornale di guerra e di prigionia e le prime opere
[modifica]Allo scoppio della prima guerra mondiale Gadda è un acceso interventista, e come tale sia arruola volontario. L'esperienza del fronte rappresenta un momento chiave nella sua vita, un'occasione di riflessione critica e di travaglio interiore. A essa è dedicata la sua prima prova di scrittore, una serie di diari risalenti al periodo 1915-1919 che verranno pubblicati nel 1950 con il titolo di Giornale di guerra e di prigionia (poi ripubblicati nel 1965). Ancora estraneo a intenti prettamente letterari, Gadda propone un confronto tra la sua vita personale e la guerra. Vengono così registrati non i grandi avvenimenti della Storia, ma piuttosto gli aspetti più minuti e squallidi della realtà: la disorganizzazione dell'esercito, la mancanza di senso nelle decisioni prese dal comando, la monotonia distruttiva della vita di trincea, la miseria della prigionia. Tutto questo scatena sentimenti di malinconia, ansia e turbamenti. Pur utilizzando un linguaggio secco e diretto, di tanto è possibile ritrovare una tensione verso l'autobiografismo vociano. Dall'esperienza bellica Gadda osserva lo scarto tra i sentimenti patriottici e lo scarso senso civico dei connazionali, e scopre lo stretto nesso che lega le sofferenze individuali e quelle collettive.[6]
È però nel dopoguerra che Gadda si confronta con opere propriamente letterarie. La sua esperienza risponde da subito a un'esigenza di conoscere la realtà e le sue articolazioni più profonde. Tra il 1924 e il 1925 lavora a un romanzo che doveva intitolarsi Racconto di ignoto italiano del Novecento. L'autore si proponeva di analizzare la complessa situazione della Lombardia tra la fine della guerra e l'avvento del fascismo. Ne rimangono però solo abbozzi e stesure provvisorie, raccolte in due quaderni e pubblicati postume nel 1983.[7]
Negli anni venti svolge una riflessione sulla filosofia della conoscenza. La sua formazione tecnico-scientifica lo porta infatti a vedere un nesso tra il metodo scientifico e la letteratura, vista come conoscenza problematica del reale. Queste sue riflessioni confluiscono nella Meditazione milanese, un trattato filosofico incompiuto risalente al 1928 ma pubblicato solo nel 1974.[8]
Da La Madonna dei Filosofi a L'Adalgisa
[modifica]Le successive opere di Gadda nascono dalla raccolta di brani che sono stati scritti per destinazioni diverse, talvolta risalenti a progetti mai realizzati. Ricostruire la genesi delle sue opere è quindi complesso, perché ritorna più volte sui testi, modificandoli e trasformandoli. Tutta la sua narrativa ruota attorno al concetto centrale di non finito: non è possibile dare un'immagine del tutto, perché ogni particolare esplode in una moltitudine di frammenti che non possono saldarsi tra di loro.
Nel 1931 esce per le edizioni di Solaria il volume La Madonna dei filosofi, una raccolta che comprende molti racconti già apparsi sulla rivista tra il 1926 e il 1928. Qui Gadda attribuisce caratteri "barocchi" al mondo descritto nei racconti e al linguaggio utilizzato.
Nel 1928 lavora al romanzo La meccanica, che rimane però incompiuto. Ne verranno tratti tre brani, pubblicati su Solaria nel 1932, mentre il testo tratto dal manoscritto originario sarà pubblicato solo postumo nel 1970. L'opera descrive la vita a Milano all'inizio della prima guerra mondiale, cercando di ricostruire in modo preciso gli ambienti popolari, compresi quei movimenti socialisti e pacifisti a cui, da interventista, aveva guardato con ostilità. Comico e tragico si alternano: da un lato Gadda scarica sulle classi popolari il suo risentimento per come gli italiani hanno affrontato la guerra, dall'altro si tenta anche di capire le loro ragioni più profonde.[9]
Il castello di Udine esce nel 1934, sempre per le edizioni di Solaria. Sono qui raccolti testi già pubblicati tra il 1931 e il 1933. A partire da quest'opera si delineano sempre di più gli elementi del plurilinguismo che caratterizza lo stile di Gadda. Come si è visto, il pastiche gaddiano nasce da una disposizione verso le cose segnata dal rancore, dal bisogno di attraversare la realtà descrivendo tutti i suoi diversi aspetti. Nel Castello di Udine l'accumulazione di elementi e la coesistenza di più registri linguistici poggia su tecniche letterarie più raffinate. È inoltre presente un commento, attribuito a un fantomatico dottor Feo Averrois, che Gadda aggiunge ai singoli pezzi che compongono l'opera.[10]
Al Castello di Udine seguono altri scritti e bozzetti, in cui Gadda prosegue sulla via del frammento. Negli anni trenta approfondisce però anche il plurilinguismo, attraverso testi che descrivono la realtà milanese. Questi presentano una forte caratterizzazione linguistica e una spiccata aggressività nei confronti del mondo borghese. L'Adalgisa, uscito in volume nel 1944, raccoglie molti di questi frammenti apparsi su diverse riviste tra il 1938 e il 1943. La vita milanese viene qui descritta con un linguaggio che si basa su un fondo toscano, su cui si sovrappongono frammenti di dialetto milanese. Nell'opera prevalgono gli elementi comici e grotteschi. I borghesi protagonisti di queste pagine sono impegnati ad affermare la propria rispettabilità di facciata, arroccati su segni puramente esteriori e banali. Dietro questa morale dell'apparenza si nasconde una realtà sordida, fatta di stenti e di volgarità.[11]
La cognizione del dolore
[modifica]Gadda inizia a lavorare alla Cognizione del dolore dopo il 1937, negli anni successivi alla morte della madre. Viene pubblicata una prima volta a puntate (dette "tratti") sulla rivista Letteratura tra il 1938 e il 1941, senza però le puntate conclusive. A partire dal 1952 l'editore Einaudi fa pressioni sull'autore affinché esca come volume autonomo. Questo avviene solo nel 1963, dopo molti tentennamenti dell'autore e un lungo lavoro preparatorio fatto da Giancarlo Roscioni. Segue poi una seconda edizione nel 1970, che contiene due tratti inediti, con i quali il romanzo si avvicina alla sua conclusione (che però non è mai stata scritta).[12]
La cognizione del dolore trae origine da una materia autobiografica: il rapporto tra madre e figlio, i traumi infantili, le nevrosi, i sensi di colpa, le necessità della vita borghese. Gadda però non affronta direttamente i suoi ricordi. Piuttosto, ne traspone i caratteri essenziali in un mondo che è allo stesso tempo reale, fantastico e grottesco. L'autore scende nelle pieghe dell'io, in un'analisi che risente del suo interesse, sorto proprio in quegli anni, per la psicanalisi.[13]
Il romanzo è suddiviso in due parti e nove tratti, ed è ambientato nel Maradagàl, un immaginario paese sudamericano uscito vincitore da una sanguinosa guerra con il vicino Parapagàl. Protagonista della vicenda è l'ingegnare Gonzalo Pirobutirro d'Eltino, che ha perduto il fratello in guerra e abita in una villa con l'anziana madre. Gonzalo vive in solitudine e cova odio contro la borghesia (di cui fa parte), i contadini e in generale verso tutto il mondo esterno. Prova inoltre rancore per la madre, verso la quale ha un atteggiamento sempre più aggressivo e violento. Una notte, mentre Gonzalo è fuori casa, qualcuno si introduce nella villa e la madre viene ritrovata moribonda. Il romanzo a questo punto si interrompe.
Nella trama sono facilmente riconoscibili i riferimenti alla biografia dell'autore: il Maradagàl, ispirato al soggiorno in Sudamerica, è la Brianza, mentre dietro il nevrotico ingegnere Gonzalo si nasconde Gadda stesso. Lo scrittore elenca tutti i mali che vede nell'Italia degli anni del primo dopoguerra e dell'avvento del fascismo: il caos che regna nella società, la mancanza di senso civile, la burocrazia, i tentativi di trarre un profitto dalla situazione. L'Italia fascista è quindi trasfigurata nel Maradagàl come un mondo barocco e grottesco, in cui il fantastico si mescola con il meschino e lo stralunato. Anche il linguaggio usato è quindi un miscuglio dei linguaggi più vari, dal lombardo allo spagnolo, dai termini provenienti dai dialetti meridionali a quelli di origine aulica o tecnica.
L'odio di Gonzalo per il mondo esterno ha le sue radici in un'infanzia senza gioia, oppressa dai sacrifici imposti dai genitori in nome dei loro ottusi ideali. La stessa villa in cui abita è piena di segni che ricordano al protagonista gli stenti imposti dal padre per costruirla. Da qui, l'odio per i borghesi e il loro attaccamento alle cose, ma anche per i poveri, per la loro condiscendenza e la loro propensione al raggiro e alla lamentela. È un'umanità attaccata a valori illusori, osservando la quale Gonzalo fa la conoscenza del dolore. E proprio quest'ultima finisce per portarlo a negare se stesso.[14]
D'altra parte, nel rancore di Gonzalo per la madre è insita una vena di tenerezza, che si esprime nel senso di colpa. Si preoccupa per la vecchiaia della madre e per la fragilità che ne mette a rischio l'esistenza. Vorrebbe darle e ricevere affetto, ma riesce solo a rivolgersi a lei con toni aggressivi. Gadda però descrive anche il dolore e la solitudine della madre, la cui sofferenza amplifica i sensi di colpa del figlio. Il finale, con l'aggressione alla donna nel corso di una notte grottesca e piena di equivoci, moltiplica il dolore e mette in evidenza l'orrore del vivere e del morire.[15]
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
[modifica]Quer pasticciaccio brutto de via Merulana viene ideato nel 1945 e poi pubblicato, in cinque "tratti", sulla rivista Letteratura nel 1946. La stesura del romanzo, in vista della sua pubblicazione in volume che però non avverrà, impegna Gadda tra il 1946 e il 1947. Tra il 1947 e il 1948 ne ricava la sceneggiatura per un film con il titolo Il palazzo degli ori, che però non verrà mai prodotto. Infine nel 1953 torna al lavoro sul romanzo, dietro le pressioni di Livio Garzanti. Nel 1957 il Pasticciaccio esce in volume, in una versione rivista e ampliata rispetto a quella apparsa su Letteratura.[15]
Con il Pasticciaccio Gadda lascia l'ambiente milanese e si sposta a Roma. Il romanzo segue all'apparenza il genere poliziesco: negli anni del regime fascista, in un palazzo borghese di via Merulana, si consumano prima un furto di gioielli ai danni della vedova Menegazzi, e poi l'omicidio della signora Liliana Balducci. Le indagini vengono condotte dal commissario Ciccio Ingravallo. La ricerca dell'assassino e la ricostruzione del movente si rivelano però un grande "pasticcio" (termine che torna più volte nel romanzo, a cominciare dal titolo). La situazione si complica via via, vengono sfiorate varie ipotesi, ma alla fine il caso rimane irrisolto.
La narrazione non ha un centro, né un vero e proprio protagonista attorno a cui ruoti la vicenda o che possa essere identificato con l'autore. Quella del Pasticciaccio è una realtà oggettiva di cui vengono mostrate le molteplici facce. E anche qui Gadda fa uso del pastiche: accanto al romanesco troviamo il molisano parlato da Ingravallo e il campano utilizzato da burocrati e poliziotti, il veneto della vedova Menegazzi e altri dialetti ancora. Questa caratterizzazione non ritorna solo nei dialoghi, ma anche nelle descrizioni e in generale in tutta la narrazione.
Il Pasticciaccio mette in luce gli aspetti più grotteschi dell'Italia fascista. Non a caso è ambientato a Roma, la capitale, dove il regime aveva fatto confluire e intrecciare le mutevoli anime provenienti da tutto il paese, riuscendo però a portarne a galla solo gli aspetti negativi. I dialetti e le realtà d'Italia si mescolano in un buffoneria barocca e grottesca, uno spettacolo insulso e osceno. Ma questa società non è altro che la forma più degradata della stupidità che secondo Gadda domina la storia, e nessun personaggio vi sfugge.[16]
Eros e Priapo
[modifica]Negli stessi anni in cui lavora al Pasticciaccio, Gadda scrive Eros e Priapo, una sua analisi del fascismo in cui esprime un giudizio in generale sui costumi e la società italiana durante il ventennio. Composto tra il 1945 e il 1946, ne vengono pubblicati alcuni brani nel 1955 sulla rivista Officina, quindi esce in volume nel 1967. L'opera sfugge alle forme tipiche della trattatistica e della saggistica e rifiuta di dare una esposizione organica e sistematica. È quindi anch'essa un pastiche, in cui si mescolano temi e linguaggi differenti, e in cui si passa dalla riflessione teorica all'autobiografia. È uno scritto satirico, in cui l'indignazione morale si salda con il gioco beffardo.
Trattandosi di uno scritto politico, Gadda usa un toscano aulico, però deformato fino all'esasperazione. Sembra inoltre volere liberarsi dal senso di colpa per un suo errore, l'iniziale simpatia che aveva provato verso il fascismo. Mette quindi in guardia da azioni politiche che facciano leva su elementi irrazionali e sulla manipolazione delle masse. Sottolinea poi come il fenomeno del fascismo sia comprensibile solo considerando l'impoverimento morale che ha caratterizzato l'Italia in quegli anni.[17]
Dopo Eros e Priapo, nel dopoguerra Gadda pubblica altri testi che sembrano ruotare attorno alle sue opere maggiori o che raccolgono esperienze letterarie secondarie. Tra queste possiamo ricordare la raccolta di novelle Accoppiamenti giudiziosi (1963). Molto importante è anche la raccolta di saggi I viaggi la morte (1958), da cui si può comprendere il suo modo di accostarsi al mondo della cultura.
Note
[modifica]- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 149.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 150.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1006-1007.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 151.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Saba, Ungaretti, Montale, Pavese, Gadda, Calvino, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 152.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1007-1008.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1008.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1009.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1010.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1010-1011.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1012-1013.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1014.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1013.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1015.
- ↑ 15,0 15,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 1016.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1016-1017.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 1017-1018.