Materia:Diritto fallimentare: differenze tra le versioni

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Il diritto fallimentare è tradizionalmente quella branca del diritto che studia le procedure concorsuali, cioè la disciplina del concorso dei creditori nella ripartizione dell’attivo dell’imprenditore divenuto insolvente. L’evoluzione dell’economia moderna e l’influenza di modelli anglosassoni hanno, però, affiancato il compito di proteggere quanto di valido permane anche in una impresa in crisi ed è diventato il diritto della gestione e della risoluzione delle crisi aziendali.
Il diritto fallimentare è tradizionalmente quella branca del diritto che studia le procedure concorsuali, cioè la disciplina del concorso dei creditori nella ripartizione dell’attivo dell’imprenditore divenuto insolvente. L’evoluzione dell’economia moderna e l’influenza di modelli anglosassoni hanno, però, affiancato il compito di proteggere quanto di valido permane anche in una impresa in crisi ed è diventato il diritto della gestione e della risoluzione delle crisi aziendali. A fianco di essa vi è l'introduzione del concetto di ''esdebitazione'': il debitore meritevole può liberarsi di tutte le sue residue obbligazioni e tornare a pieno titolo nel mondo produttivo.


Essenzialmente, quindi si compone della disciplina del '''fallimento''' e di quella delle altre figure, tradizionalmente considerate minori.
Essenzialmente, quindi si compone della disciplina del '''fallimento''' e di quella delle altre figure, tradizionalmente considerate minori.

Versione delle 19:02, 23 gen 2008

Il diritto fallimentare è tradizionalmente quella branca del diritto che studia le procedure concorsuali, cioè la disciplina del concorso dei creditori nella ripartizione dell’attivo dell’imprenditore divenuto insolvente. L’evoluzione dell’economia moderna e l’influenza di modelli anglosassoni hanno, però, affiancato il compito di proteggere quanto di valido permane anche in una impresa in crisi ed è diventato il diritto della gestione e della risoluzione delle crisi aziendali. A fianco di essa vi è l'introduzione del concetto di esdebitazione: il debitore meritevole può liberarsi di tutte le sue residue obbligazioni e tornare a pieno titolo nel mondo produttivo.

Essenzialmente, quindi si compone della disciplina del fallimento e di quella delle altre figure, tradizionalmente considerate minori.

Collocazione del diritto fallimentare

Il diritto fallimentare è tradizionalmente collocato nell'ambito del diritto privato e nell'ambito di esso, nel diritto commerciale. Tuttavia per l'ampio spazio lasciato alle norme di carattere processuale e al rilevante ruolo del tribunale fallimentare e del giudice delegato, appartiene anche al diritto pubblico.

Fonti del diritto fallimentare

Il diritto fallimentare italiano trova la propria regolamentazione soprattutto nel Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267. Per più di 60 anni le modifiche apportate riguardavano solo aspetti secondari o erano effetto degli interventi a seguito delle sentenze di incostituzionalità della Corte costituzionale. I tanti tentativi di riforma erano naufragati nel nulla. Si era però sviluppata una normativa speciale per le grandi aziende in crisi che aveva assunto il nome di Amministrazione straordinaria che però rimaneva un istituto a parte, in cui maggiore era l’intervento del Governo. Con il Decreto Legge 14 marzo 2005 n. 35 si è data una grande accelerata al processo di rinnovamento anche di concetti importanti dando più spazio al concordato preventivo ed attenuando persino uno dei canoni tradizionali il principio della par condicio creditorum. La riforma ha poi trovata concreta attuazione con il decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006 che ha apportato profonde modifiche al vecchio dioritto fallimentare. Le linee guida prevedevano:

  • una estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto del fallimento, *una semplificazione delle procedure per permettere una accellerazione dei tempi.
  • una valorizzazione della figura del curatore fallimentare e di quella del comitato dei creditori; per contro il giudice delegato vede ridimension ato il suo ruolo.
  • sullo schema anglosassone viene introdotta la disciplina dell’esdebitazione, il debitore viene liberato dai debiti residui nei confronti dei creditori.


Il fallimento nella visione tradizionale e nel nuovo diritto

Secondo la visione tradizionale il fallimento veniva considerato come l’insieme delle norme che da un lato permetteva ai creditori una ripartizione su base paritaria del residuo attivo, dall’altro come l’insieme di quelle norme afflittive, residuo dell’epoca in cui all’imprenditore incapace di soddisfare l’adempimento delle proprie obbligazioni, si ‘’rompeva il banco’’ cioè si faceva ‘’bancarotta’’ e lo si sottoponeva a tutta una serie di pratiche umilianti . Si sottraeva a questo regime solo figure minori come il ‘’concordato preventivo’’ o l’amministrazione controllata per venir incontro agli imprenditori ‘’onesti ma sfortunati’’ Nei diritti di stampo anglosassone il fallimento veniva invece concepito come un sistema per proteggere appunto tali imprenditori dai loro creditori, cercando di salvare quanto di valido c’era ancora nell’impresa.

Il fallimento

Il fallimento è una procedura concorsuale disposta dall'autorità giudiziaria e diretta a liquidare il patrimonio dell'imprenditore insolvente al fine di distribuire il ricavato tra i creditori secondo il criterio della ‘’par condicio’’, fatte salve le cause legittime di prelazione.

Secondo il Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267, anche dopo la modifica apportata dal Decreto Legge 14 marzo 2005 n. 35, l'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti che dimostrino l'incapacità del debitore a far fronte alle proprie obbligazioni, ed è un concetto essenzialmente svincolato dalla necessità di bilanci in passivo. Questo concetto è attenuato dall'osservazione che non basta un singolo inadempimento, ma deve essere manifesto che la situazione è irreversibile.

Disposizioni generali

I soggetti

Sono soggetti al fallimento, ai sensi dell'art.1 della Legge fallimentare (L. fall.), nonché al concordato preventivo, gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.
Il medesimo articolo continua escludendo dalla definizione di piccolo imprenditore, gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che:

  • hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a trecentomila euro;
  • hanno realizzato ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.

Gli enti pubblici non sono soggetti al fallimento ma alla liquidazione coatta amministrativa; non lo sono anche le imprese determinate dalla legge.

L'altro grande campo di esclusione dal fallimento è quello dell'imprenditore agricolo, non costituitosi come società di capitali.L'esclusione è tradizionale nel diritto italiano, fin dai tempi in cui, prima dell'unificazione del diritto privato, il mondo agricolo era

Presupposto soggettivo: Imprenditore

Viene definito "imprenditore" (a norma dell'articolo 2082 del Codice Civile - Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I) colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Il codice civile parla di "imprenditore" e non di impresa; l'impresa, sostiene la dottrina, è il frutto dell'attività che dall'imprenditore sortisce: una definizione mediata, dunque, come accade per il lavoro subordinato, di cui non esiste definizione giuridica esplicita mentre c'è quella di lavoratore subordinato.
La definizione presente nel codice risente di un forte influsso dell'indirizzo economico, tra i diversi orientamenti esistenti al momento della redazione del codice. In merito alla definizione giuridica di imprenditore vanno sottolineati alcuni aspetti:

  1. può essere imprenditore sia una [persona fisica che una persona giuridica; anzi nel V libro si crea quel particolare status di tertium genus: cioè le società di persone, che non sono enti personificati, ma che sono trattati alla stregua delle persone fisiche;
  2. per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori produttivi (capitali, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o servizio): fine dalla produzione;
  3. i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso economico;
  4. la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare di attività imprenditoriale: chi coltiva il proprio terreno per consumarne i frutti o vi costruisce sopra per poi abitarvi non può essere considerato imprenditore dal momento che l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui: fine dello scambio;
  5. organizzazione: come contraltare al fatto che sull'imprenditore ricada il rischio d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa, l'imprenditore ha il potere di organizzare come meglio crede i fattori produttivi che concorrono all'impresa operando le scelte relative alla conduzione dell'impresa stessa: cosa produrre (o scambiare), come, dove, quando e con quali mezzi;
  6. professionalità, ovvero l'"abitualità" all'esercizio dell'impresa; il concetto non va però confuso con quello di "continuità" (imprenditore è anche chi esercita un'attività solo in un determinato periodo dell'anno, ad esempio un hotel aperto nei mesi invernali) né con quello di "esclusività" (o prevalenza) dell'attività esercitata dal momento che è imprenditore anche chi esercita tale attività come attività secondaria o delega ad altri la gestione dell'attività: la titolarità dell'impresa può dunque essere disgiunta dall'effettiva partecipazione alla gestione dell'azienda (in capo all'imprenditore rimane, in ogni caso, il rischio d'impresa);
  7. nella norma non si fa accenno allo scopo che l'imprenditore si prefigge con l'attività imprenditoriale: così, sebbene sia lo scopo "normalmente" perseguito nell'attività d'impresa, non è necessario il fine di lucro; un impresa è infatti tale (con riguardo alla norma del Codice Civile) anche se gestita con il criterio dell'economicità (ottenimento dell'uguaglianza tra costi e ricavi) ed, al limite, anche quando si tratti di un impresa "di erogazione" nella quale, cioè, non si badi al rapporto tra costi e ricavi (ad esempio una mensa per poveri).

L'attitudine ad affrontare il rischio è un elemento specifico dell'attività imprenditoriale: l'imprenditore (perlomeno nella piccola impresa) deve spesso mettere in gioco la propria sicurezza economica e finanziaria pur di mettere in pratica la propria idea, profondendo nella realizzazione del progetto imprenditoriale gran parte delle proprie risorse economiche e temporali.

Presupposto oggettivo: Insolvenza

Presupposto oggettivo del fallimento è lo stato d'insolvenza, ossia l'impossibilità dell'imprenditore ad essere puntuale nel soddisfacimento delle obbligazioni. Lo stato d'insolvenza si presenta talvolta con alcuni sintomi, come l'inadempienza, ma si può essere inadempienti senza essere insolventi (il caso dell'imprenditore che si rifiuta di pagare le merci ritenute difettose) e viceversa (quando l'inadempimento è evitato con mezzi anomali, es.il prestito ad usura). Altri sintomi sono la chiusura dei locali, la fuga dell'imprenditore. Scopo tradizionale di tale procedura solo i creditori più furbi, o quelli che per prima scoprono l'esistenza di tale situazione ne trarrebbero vantaggio, verrebbe pertanto meno la par conditio creditorum.

Organi del fallimento (artt. 23-41 L. Fall.)

Tribunale fallimentare

Il tribunale fallimentare è l'organo principale investito dell'intera procedura fallimentare. Nomina, revoca e sostituisce gli organi della procedura, quando non è prevista la competenza del Giudice Delegato. Il tribunale del luogo ove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa dichiara il fallimento ed è quindi competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano. Tutti i suoi provvedimenti sono pronunciati per [decreto. Se nell'anno precedente alla domanda di fallimento è avvenuto il trasferimento della sede dell'impresa, ciò non rileva ai fini della competenza. La Corte di Cassazione può decidere sulla eventuale incompetenza del tribunale e quindi disporre la trasmissione degli atti dal tribunale incompetente a quello dichiarato competente.

Giudice Delegato

Dall'entrata in vigore del D.Lgs. del 9 gennaio 2006, il Giudice Delegato (G.D.) perde il suo carattere di centralità nella procedura fallimentare, passando dal compito di dirigere le operazioni, a "vigilare e controllare sulla regolarità della procedura". I suoi compiti sono:

  • riferire al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del collegio;
  • emettere provvedimenti diretti alla conservazione del patrimonio;
  • convocare il curatore e il comitato dei creditori;
  • liquidare i compensi e revocare l'incarico conferito alle persone su richiesta del curatore;
  • provvedere ai reclami contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori (15 gg.);
  • autorizzare il curatore a stare in giudizio, per ogni grado e per atti determinati;
  • revocare su richiesta del curatore gli avvocati del giudizio, e liquidarne i compensi;
  • nominare gli arbitri su proposta del curatore;
  • accertare i crediti e i diritti reali vantati dai terzi.
  • approvare il programma di liquidazione;
  • provvedere in caso di inerzia o inoperatività del comitato dei creditori;

Tutti i provvedimenti sono pronunciati con decreto motivato.

Contro i decreti del G.D., entro 10 giorni dalla notifica dell'atto è proponibile ricorso al tribunale o alla [Corte d'appello, dal curatore, dal comitato dei creditori o da chiunque ne abbia interesse. Il ricorso non è proponibile decorsi 90 giorni dal deposito dell'atto presso la cancelleria. Il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento.

Curatore

Nomina e requisiti

Il curatore fallimentare viene nominato dal tribunale nella sentenza di fallimento, o con decreto in caso di revoca o sostituzione dello stesso. Riveste la figura di pubblico ufficiale adempiendo ai suoi doveri con la diligenza data dalla natura dell'incarico. Per svolgere questa funzione la nuova versione della L. Fall. prevede dei requisiti di professionalità. Possono svolgere la funzione di curatore fallimentare:

  • gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e ragioneri commercialisti;
  • coloro che hanno svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni;
  • gli studi professionali e associati.

Non possono svolgere tale funzione, invece:

  • il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito;
  • i creditori;
  • coloro che nei due anni precedenti hanno concorso al dissesto dell'impresa;
  • chiunque si trovi in conflitto d'interessi.

L'accettazione della nomina deve pervenire al G.D. entro due giorni successivi alla domanda.

Poteri e funzioni

Il curatore fallimentare:

  • amministra il patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del Giudice Delegato e del comitato dei creditori;
  • può stare in giudizio solo con l'autorizzazione del G.D. (tranne nei casi di contestazione e tardive comunicazioni di crediti e di diritti di terzi) ma non può assumerne la veste di avvocato;
  • può delegare ad altri specifiche operazioni previa autorizzazione del G.D., assumendosene l'onere finanziario;
  • può farsi coadiuvare da terzi sotto la sua responsabilità e assumendosene l'onere fallimentare, purché con l'autorizzazione del giudice delegato.

Entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento presenta una relazione sulle cause e circostanze di questo, sulla diligenza e responsabilità del fallito, sulle responsabilità degli amministratori se trattasi di società. Non devono più menzionarsi le indicazioni sul tenore di vita del fallito e della sua famiglia (eliminazione delle conseguenze personali del fallito). Il G.D. ordina dopodiché, il deposito in cancelleria.
Ogni sei mesi il curatore deve consegnare al G.D. una relazione sulle attività svolte e un conto della gestione riguardante gli incassi e gli esborsi; una copia viene trasmessa al comitato dei creditori e poi depositata presso il registro delle imprese. Detiene un registro previamente vidimato nel quale annota le operazioni giorno per giorno. Le somme riscosse devono essere depositate entro 10 giorni su di un c/c postale o bancario scelto a discrezione del curatore stesso; su ordine del G.D. possono essere investite in titoli di Stato, oppure immediatamente destinate ai creditori. Egli può compiere gli atti di straordinaria amministrazione, se autorizzato dal solito comitato creditizio, salvo per gli atti superiori a euro 50.000, per i quali il G.D. ne deve essere informato.
Contro gli atti del curatore, il comitato dei creditori o chiunque ne abbia interesse può proporre entro otto giorni reclamo al G.D.. In sede di adunanza per l'esame dello stato passivo, il comitato dei creditori a maggioranza dei crediti ammessi può chiedere al G.D. di sostituire o revocare il curatore.

Il compenso è liquidato dopo l'approvazione del rendiconto, salvo acconti previsti e accordati dal Tribunale, ad istanza del curatore, con decreto del Tribunale su relazione del G.D.

Il curatore inoltre:

  • procede all'inventario dei beni e appone i sigilli;
  • forma il progetto di stato passivo;
  • assume la qualità di parte nel procedimento;
  • predispone il programma di liquidazione;
  • gestisce l'impresa dove venga disposto l'esercizio provvisorio;
  • provvede alla vendita dei beni e può sospendere la vendita in caso di offerta migliorativa;
  • predispone il progetto di riparto.

Comitato dei Creditori

Nomina

Il comitato dei creditori è nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, sulla base delle risultanze documentali, sentiti il curatore e i creditori stessi.

Composizione

È composto da tre o cinque membri, con un presidente nominato entro 10 giorni a maggioranza dai creditori.

I membri sono scelti tra i creditori che hanno dato laloro disponibilità o sono stati segnalati da altri creditori, in modo da rappresentare quantità e qualità dei crediti in maniera equilibrata. È prevista la possibilità di delega a chi presenta i requisiti per essere nominato curatore.

Funzioni

Vigila sull'operato del curatore e ne propone la revoca, autorizza gli atti (straordinaria amministrazione, programma di liquidazione, esercizio provvisorio, affitto d'azienda, diritto di prelazione, atti di vendita precedenti l'approvazione del programma di liquidazione), esprime pareri e le sue decisioni sono prese a maggioranza dei votanti entro 15 giorni dalla richiesta al presidente. Il voto può essere espresso ancche tramite fax o con altro mezzo telematico. I membri possono svolgere ispezioni sulle scritture contabili e sui documenti della procedura.

Procedura fallimentare

Richiesta

La dichiarazione di fallimento può essere richiesta:

  • dallo stesso debitore (fermo restando che spetta sempre al Tribunale accertare l'esistenza oggettiva dello stato di insolvenza);
  • dal creditore (o dai creditori), che deve provare lo stato di insolvenza del debitore;
  • dal pubblico ministero (PM), se dovesse ravvisare (e riesca a provare) un interesse generale di tutti i creditori oppure se, nel corso di un procedimento penale, risulti l'insolvenza del debitore da particolari comportamenti dello stesso (fuga o latitanza, chiusura dei locali d'impresa, trafugamento, sostituzione o diminuzione dell'attivo, etc.);
  • dal giudice di un processo civile, se nel corso di un giudizio ravvisi l'insolvenza di una delle parti del giudizio stesso;
  • dal curatore del fallimento di una società, limitatamente alla richiesta che il fallimento sia esteso anche al socio occulto o di fatto.

Istruttoria prefallimentare

Il debitore che chiede il fallimento deve depositare le scritture contabili e fiscali dei tre anni precedenti, uno stato estimativo delle sue attività e un elenco dei creditori presso la cancelleria. Viene prevista una nuova forma di comunicazione degli avvisi, attraverso mezzi telematici quali il telefax o l'indirizzo di posta elettronica. Diversamente da prima gli imprenditori individuali o collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese e non più dalla cessazione dell'impresa. In caso di decesso dell'imprenditore il procedimento prosegue nei confronti degli eredi. Non è più previsto l'obbligo di trasmissione dell'elenco dei protesti.

L'istruttoria ha carattere sommario ed inquisitorio e si svolge con il principio del contraddittorio. Per la procedura è competente il tribunale in composizione collegiale; tuttavia il procedimento può essere delegato al Giudice Relatore, anche se la decisione finale spetta sempre al tribunale. È competente il tribunale del luogo dove l'imprenditore ha la sede principale d'impresa. Il tribunale convoca in seduta collegiale il debitore e i creditori ed eventualmente il P.M., tramite decreto. La parte che ha fatto istanza di fallimento notifica il ricorso e il decreto. Il deposito delle memorie e dei documenti e della situazione patrimoniale e finanziaria del debitore deve avvenire al massimo fino a 7 giorni prima dell'udienza. Possono essere nominati consulenti di parte, per la particolare natura delle materie trattate.

Il tribunale su istanza di parte emette provvedimenti diretti alla conservazione del patrimonio. Una particolarità non prevista prima del 2006 consiste nel fatto che, se l'ammontare dei crediti scaduti e non pagati non supera euro 25.000, non può essere proposta domanda di fallimento.

La sentenza dichiarativa di fallimento

Con il decreto di fallimento, il tribunale nomina il G.D., il curatore, ordina al fallito il deposito delle scritture contabili entro tre giorni (in luogo delle 24 ore), stabilisce la data per l'esame dello stato passivo (entro 120 giorni dalla sentenza), concede ai creditori un termine massimo di 30 giorni prima della data prevista per l'esame dello stato passivo per la presentazione delle domande di insinuazione al passivo.

La sentenza viene notificata al debitore entro il giorno successivo al deposito e per estratto al curatore. Viene depositata anche presso il Registro delle imprese. Gli effetti decorrono dalla data di pubblicazione per il debitore; per i terzi dalla data di deposito presso il Registro suddetto

Il reclamo e il ricorso per Cassazione

Contro alla sentenza dichiarativa di fallimento può essere proposto appello entro 30 giorni dalla notifica al debitore (se a ricorrere è il debitore; 30 giorni dall'iscrizione presso il Registro delle imprese per gli altri). Non può essere proposto oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza. L'appello non sospende gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento salvo su istanza di parte a tal fine. Il presidente entro 5 giorni dal deposito del ricorso fissa un'udienza di comparizione (entro 45 giorni) che si svolge in collegio con la formula del contraddittorio. La trattazione è orale e dovrebbe concludersi, di norma, in giornata. Al termine della discussione la corte si pronuncia con sentenza.

La sentenza che revoca il fallimento è comunicata al creditore che lo ha richiesto, al debitore e al curatore. La sentenza che rigetta l'appello è notificata al ricorrente. È ammesso ricorso in Cassazione nelle forme ordinarie.

Anche contro la sentenza di reiezione dell'istanza di fallimento è ammesso il ricorso in appello, ma il termine è di 15 giorni dalla comunicazione.

L'accertamento del passivo

Il curatore appone i sigilli sui beni e nella sede dell'impresa, assistito dalla forza pubblica. Il denaro contante, le cambiali e gli altri titoli di credito, le scritture contabili devono essere consegnate al curatore e depositate presso la cancelleria del Tribunale. Nel più breve tempo possibile il curatore redige l'inventario formando presa visione delle attività compiute. Stila un elenco dei creditori desumibili dalle scritture contabili e dagli altri documenti acquisiti. Subito dopo la dichiarazione di fallimento, il cancelliere forma un fascicolo del processo, contenente tutti gli atti, i provvedimenti ed i ricorsi. Il fascicolo può essere consultato dal comitato dei creditori e dal fallito.

Di seguito il curatore procede ad avvisare i creditori anche per via fax o e-mail. I creditori devono presentare ricorso d'insinuazione al passivo entro 30 giorni dalla notifica e spedirlo tramite posta o in altra forma anche telematica allegando eventuali documenti. Gli eventuali documenti non presentati con il ricorso possono essere depositati almeno 15 giorni prima dell'udienza. Sulle domande di insinuazione decide con decreto motivato il giudice delegato. Il curatore, dopo aver esaminato le domande e i documenti, predispone il cosiddetto stato passivo e provvede al deposito in cancelleria almeno 15 giorni prima dell'udienza. Si procede alla discussione dello stato passivo in udienza e se questo è accettato viene comunicato a tutte le parti dopo il deposito in cancelleria. Avverso il decreto di esecutività dello stato passivo si può proporre opposizione, impugnazione e revocazione. Su queste domande, con procedimento unificato, decide entro 30 giorni il tribunale, acertandone le motivazioni indotte dall'imprenditore fallito o da terzi.

Le domande tardive di crediti devono essere presentate entro un anno dal deposito del decreto esecutivo.

Su istanza del curatore, il tribunale può non procedere all'accertamento del passivo con decreto motivato se ritiene che il realizzo sia insufficiente o assente.

Liquidazione dell'attivo

Con la sentenza dichiarativa di fallimento, il tribunale può disporre l' "esercizio provvisorio" (continuazione dell'esercizio dell'impresa) su proposta del curatore, sentito il Giudice Delegato e il comitato dei creditori (o autonomamente, se è disposto contestualmente alla dichiarazione di fallimento), anche tramite affitto d'azienda o di un ramo di essa. L'affittuario avrà diritto di prelazione in caso di vendita dell'impresa nel rilevarla.

Entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario, il curatore predispone il programma di liquidazione. Viene presentato ai creditori e al G.D. . Dopo l'approvazione, si procede alla vendita dei beni, dell'azienda o per rami d'azienda, cessione dei crediti anche di natura fiscale secondo metodologie competitive (come l'asta pubblica). Il G.D. può sospendere la vendita se ricorrono gravi e giustificati motivi, su istanza del fallito o del comitato dei creditori, o in caso di offerta migliorativa.

Il progetto di riparto dell'attivo è predisposto dal curatore e diviene esecutivo se, una volta trascorsi i 15 giorni, i creditori non propongono reclamo. Altrimenti il programma diviene esecutivo previo accantonamento delle somme contestate sulle quali decide il tribunale. Nella ripartizione i crediti assistiti da garanzia reale prevalgono sui crediti prededucibili; questi prevalgono sui crediti privilegiati (pegno, ipoteca) e per ultimi si hanno i creditori chirografari, soggetti a par condicio creditorum (in pratica, saranno soddisfatti in egual misura sulla percentuale del credito ad essi dovuto).

Effetti del fallimento

Il fallimento produce effetti sia in capo all'imprenditore, sia in capo ai creditori che in capo ai terzi.
Il fallimento ha effetti patrimoniali (lo spossessamento dei beni) e personali (limitazione dei diritti civili).

Effetti sul fallito

L'effetto principale della dichiarazione in capo al fallito è il così detto "spossessamento".
Dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito perde l'amministrazione del proprio patrimonio, che è affidata al Curatore nominato dal Tribunale.

Il curatore assiste in giudizio nelle controversie riguardanti il fallito. Tutti gli atti e i pagamenti del fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci, così come i pagamenti ricevuti. Non rientrano nell' attivo fallimentare (artt. 42, 46 L. Fall.) i beni ed i diritti strettamente personali, gli assegni alimentari, stipendi, salari entro i limiti per il mantenimento della sua famiglia, i frutti dei beni dei figli in usufrutto, i fondi patrimoniali e i beni non pignorabili per legge. Il vecchio diritto fallimentare introduceva tutta una serie di norme ‘’afflittive’’ nei confronti del fallito, in parte non sentito più consono ad una visione moderna del rapporto

È previsto ora che il fallito stesso debba consegnare al curatore la propria corrispondenza, anche elettronica, riguardante i rapporti del fallimento. È stato invece abrogato l'obbligo di residenza del fallito, sostituendolo con l'obbligo di comunicare il cambio di residenza al curatore, e l'obbligo di comparizione davanti al G.D. qualora questi lo ritenga opportuno per chiarimenti o informazioni.

Sono stati abrogati anche il c.d. registro dei falliti e la perdita dell'elettorato attivo.

Effetti sui creditori e sugli atti pregiudizievoli ai creditori

Nessun creditore dalla data di dichiarazione del fallimento può iniziare un'azione individuale nei confronti del fallito, in quanto il fallimento stesso apre il concorso dei creditori, e quindi i crediti e diritti reali devono essere valutati. Solo i crediti muniti di prelazione o garantiti da pegno possono essere soddisfatti anche durante la procedura di fallimento, ma solo dopo essere stati ammessi al passivo, chiedendo autorizzazione alla vendita del bene al G.D., sentito il curatore e il comitato creditizio; il loro diritto si estende oltre che al capitale e alle spese anche agli interessi, concorrendo, se non completamente soddisfatti, per la parte residua con i creditori chirografari. È ammessa la compensazione dei crediti-debiti.

Sono privi di effetto gli atti a titolo gratuito effettuati nei confronti dei creditori e i pagamenti di debiti scaduti alla data del fallimento o posteriormente fino a due anni prima.

Possono essere revocati con azione revocatoria, se creano pregiudizio ai creditori:

  • gli atti a titolo oneroso compiuti nell'anno anteriore, se le prestazioni superano di un quarto il debito;
  • il pagamento di debiti scaduti ma non effettuati con denaro entro l'anno anteriore il fallimento;
  • i pegni e le garanzie costituite nell'anno anteriore per debiti non scaduti;
  • i pegni e le garanzie costituite entro sei mesi prima per i debiti scaduti;
  • gli atti sui patrimoni destinati ad uno speciale affare se arrecano pregiudizio ai creditori;
  • gli atti compiuti tra coniugi in esercizio d'impresa o fino a due anni prima se a titolo gratuito, se il coniuge non prova la non conoscenza dello stato d'insolvenza.

L'azione revocatoria è prescritta dopo tre anni dalla dichiarazione di fallimento.

Effetti sui rapporti pendenti

Il fallimento produce effetti diversi per i rapporti ancora pendenti alla data di dichiarazione di fallimento e spetta al curatore entro 60 giorni da questa decidere se continuare o no previa autorizzazione del comitato dei creditori. Il contratto resta sospeso fino al momento della decisione del curatore. Stessa soluzione anche per il contratto preliminare. Superato il termine di 60 giorni, il contratto si intende sciolto tacitamente. La scelta del curatore non è in alcun caso fonte di risarcimento danni.

La domanda di risoluzione anteriore alla dichiarazione di fallimento produce i suoi effetti anche dopo la sentenza, ma il contraente non potrà richiedere restituzioni di somme e danni senza insinuarsi al passivo. Le clausole contrattuali che prevedono la risoluzione in caso di procedure liquidatorie sono sempre inefficaci.

Se si tratta di vendita di immobili e il compratore ha già acquisito la proprietà, il vincolo contrattuale non si scioglie; se è stato trascritto un contratto preliminare d'acquisto può essere ammesso al passivo; nella locazione finanziaria il contratto continua solo con l'esercizio provvisorio, altrimenti il locatore rientra nella proprietà del bene e viene ammesso al passivo per i crediti esistenti.

Nella locazione di immobili il fallimento del locatario non scioglie il contratto, mentre se a fallire è il conducente si stabilisce un equo indennizzo al locatario; si chiudono i contratti di c/c; nell'affitto d'azienda i contraenti possono decidere la continuazione entro 60 giorni; il contratto d'appalto si scioglie se entro 60 giorni il curatore non subentra nel rapporto.

Il fallimento di un'impresa comporta la cessazione delle sue attività produttive, ed è una giusta causa per la risoluzione dei contratti di lavoro (dipendente e non). Per il personale licenziato, può seguire l'adozione di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione o la mobilità.