Pasolini, Un Delitto Italiano

Da Wikiversità, l'apprendimento libero.
lezione
lezione
Pasolini, Un Delitto Italiano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia della giustizia
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Pasolini, Un Delitto Italiano è un film del 1995 diretto da Marco Tullio Giordana e ricostruisce le vicende del processo contro Pino Pelosi, accusato dell'omicidio di Pier Paolo Pasolini. Fu apresentato in concorso alla 52ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Per la parte del protagonista Giuseppe Pelosi fu scelto Carlo De Filippi (Roma, 2 novembre 1973 – Roma, 25 novembre 1996), più noto come Carletto, che aveva già lavorato come comparsa in Mery per Sempre di Marco Risi (1989). Nel 1996, un anno dopo l'uscita del film di Giordana, morì ai giardini pubblici per overdose.

Il Film[modifica]

Il Film è disponibile al seguente link di Youtube: Filmato audio Tyler Rhodes, Pasolini un Delitto Italiano 1995 Full Movie, su YouTube. URL consultato il 13 aprile 2017.

Nella notte fra il 1º novembre ed il 2 novembre 1975 un ragazzo viene fermato ed arrestato dai Carabinieri di Ostia a bordo di un'Alfa Romeo 2000 GTV. Si tratta del giovane pischello romano Giuseppe Pelosi, detto "Pino la Rana", accusato di aver ucciso il regista, scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini, visto che l'auto su cui era stato trovato era quella della nota celebrità. Tutta l'Italia piange la scomparsa di Pasolini, inclusi i suoi amici Ninetto Davoli, lo scrittore Alberto Moravia e il regista Sergio Citti, che dichiarano la caduta volontaria di una stella della poesia.

In effetti pare così, ma immediatamente sul caso, dopo il ritrovamento del corpo martoriato e la sua autopsia, si verificano degli scontri tra fascisti e comunisti e soprattutto si va alla ricerca cieca di ignoti "bombaroli", ritenuti responsabili delle stragi di Milano, Bologna e Brescia durante gli anni di piombo. La cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, viene convocata in procura a testimoniare sulla morte di Pier Paolo e soprattutto a fornire informazioni necessarie affinché le ricerche riguardo alla ricostruzione dei fatti della notte del 2 novembre continuino ad essere perseguite.

Nel frattempo Pino Pelosi rilascia una dichiarazione: egli afferma di essersi trovato con Pasolini durante quella notte nell'auto del regista e di avere avuto con lui un rapporto di sesso orale, dato che l'omosessualità di Pasolini era assai conosciuta nella zona e anche condannata. Successivamente, stando alle dichiarazioni di Pelosi, egli esce dall'auto per prendere un po' d'aria e guardarsi attorno, venendo raggiunto da Pasolini, fremente dal desiderio di un rapporto sessuale. Pelosi si ribella, al che Pasolini lo colpisce con un bastone, continuando a percuotere il giovane, che ad un certo punto reagisce e risponde colpendolo con una trave di legno molto più robusta del bastone di Pier Paolo, rompendogli la testa e delle costole.

Successivamente Pelosi fugge a bordo dell'auto e, senza volerlo, uccide definitivamente Pasolini mettendolo sotto. Ma prima di salire in macchina, afferma Pelosi, lui si era lavato le mani insanguinate ad una fontanella: ciò si dimostrerà falso, perché al momento della cattura non aveva le mani bagnate e nemmeno il volante dell'auto presentava né tracce di sangue né di acqua. Un altro elemento caratterizzante sorge quando gli inquirenti della procura recuperano l'auto di Pasolini: un golfino era presente dentro la vettura, e non apparteneva né al poeta né al ragazzo. Ma le indagini, a causa dell'incapacità dei membri della procura o per loro legittima volontà, non vengono svolte correttamente, e le prove del sangue sul tettuccio dell'Alfa Romeo vengono cancellate dalla pioggia, poiché l'auto è stata lasciata allo scoperto durante un acquazzone.

Nel frattempo altri membri della procura ipotizzano che dietro al delitto di Pasolini vi fosse una battaglia tra "fascistelli bombaroli" e specialmente se qualcuno degli amici di Pino Pelosi vi fosse coinvolto. La spia "Trepalle" viene incaricata di trovare le prove, ma l'uomo riesce solo ad avere i nominativi di alcuni ragazzi che avrebbero potuto essere coinvolti del delitto di Pasolini: Braciola, Calabrone e Johnny, detto "lo Zingaro", tutti giovanotti provenienti dalle borgate romane.

Gli abitanti poveri del lido di Ostia, ma anche altri conoscenti di Pasolini, non vogliono parlare e rilasciare dichiarazioni o per paura o per il fatto che ritengono l'omosessualità qualcosa di atrocemente abominevole e assolutamente condannabile. Infatti secondo molti di loro quella notte Pasolini "se la cercò", volendo fare l'amore con un minorenne. Nei giorni a seguire, dato che tutta fa pensare che in sede processuale si possa assolvere l'imputato Pino Pelosi con la scusa che sia un minorenne e per di più "immaturo", un ispettore decide di rifar svolgere un'ulteriore autopsia sul corpo di Pasolini e specialmente sulla sua auto.

In questo modo si scopriranno nuovi particolari e l'ispettore, smentendo le false notizie divulgate nel telegiornale e nei quotidiani, giunge alla conclusione che le condizioni del cadavere erano talmente gravi da far ritenere che Pino Pelosi quella notte possa aver agito in compagnia di ignoti, e ciò potrebbe essere provato dal golfino ritrovato nel sedile posteriore dell'auto di Pasolini. Tuttavia vi sono anche altre difficoltà nel dichiarare la falsità delle prime ipotesi sulla morte di Pasolini, anche perché le autorità locali dichiarano che Pelosi - uccidendo Pasolini - volle rappresentare la ribellione del giovane "proletario" contro un regime falsamente liberale, come le idee di Pasolini. Facendo ciò la gente si convince che Pasolini fu la causa stessa della sua morte, abusando con violenza del corpo di un giovane.

Inoltre Pino Pelosi, sotto consiglio di un suo amico carcerato, cambia avvocato, il quale si dedica anima e corpo a provare la sua innocenza, interrompendo in continuazione le domande del legale della famiglia Pasolini e facendo apparire Pino Pelosi un perfetto immaturo. Ha luogo il processo, con il Dottor Carlo Moro come Presidente del Tribunale: Pelosi, totalmente inetto e inesperto (o che tale cerca di apparire, consigliato dal suo avvocato), nega di aver agito con ignoti e di essersi comportato violentemente durante la notte del 2 novembre 1975 per difendersi dalla violenza del poeta.

Intanto Trepalle ipotizza che potrebbero essere stati Braciola, Johnny e altri amici di Pino ad accompagnarlo nella notte del 2 novembre e così, con una spia, riesce a farli arrestare. Infatti Braciola, stoltamente, si pavoneggia dicendo di aver ucciso Pasolini, credendo la spia uno spacciatore; tuttavia, una volta che i ragazzi sono stati tradotti in commissariato, negano tutto, giustificandosi in maniera infantile e rendendo impossibile alla polizia la continuazione delle indagini per mancanza di prove. Nel frattempo vengono stampate le foto della nuova autopsia del cadavere di Pasolini, dato che le originali erano state manomesse o fatte sparire.

L'ispettore è convinto fermamente che Pasolini sia stato ucciso da più persone e non solo da Pelosi, così, durante la parte finale del processo, le mostra alla Corte del Tribunale dei Minori. La vicenda della notte del 2 novembre quindi, stando anche ad alcuni particolari delle dichiarazioni di Pelosi, ritorte contro di lui, viene completamente ricostruita. Pasolini, dopo aver mangiato con l'ospite Pino Pelosi in una trattoria, lo porta in auto sul lido di Ostia. Lì Pasolini si leva gli occhiali e i due hanno un rapporto orale; successivamente Pasolini non si rimette gli occhiali. Nella prima versione Pelosi non spiega il perché, ma nella nuova ricostruzione si ipotizza che Pasolini fu tirato a forza fuori dall'auto e picchiato a sangue, mentre Pelosi guardava la scena senza sporcarsi le mani. Pasolini cercò di fuggire, tamponandosi la ferita alla testa con la camicia, ma venne raggiunto e massacrato dagli amici di Pino con la tavoletta di legno, ritrovata poi sul posto. Tuttavia lo scrittore non era ancora morto e i compagni fuggirono in auto: anziché mettere sotto il corpo del regista accidentalmente, durante la manovra per rimettersi in strada, Pelosi e i compagni lo investirono volontariamente, provocandogli un arresto cardiaco, e la volontarietà dell'atto era dimostrata dal fatto che lo spazio per fare manovra sulla spiaggia fosse enorme.

Le tracce di sangue sul tettuccio dell'Alfa Romeo probabilmente erano state lasciate da un collega di Pelosi, visto che lui aveva le mani pulite, benché avesse schizzi di sangue di Pasolini sulla camicia e i pantaloni. Riguardo al fatto che Pino Pelosi aveva una ferita sulla fronte, questa non venne inflitta da colpi o da bastoni - come lui disse attribuendoli alla vittima - ma perché durante la fuga, inseguito dalla polizia, Pelosi fece una brusca frenata e sbatté la testa contro il parasole, lasciando tracce del suo sangue. La famiglia di Pasolini rinuncia alla richiesta di un risarcimento, e alla fine Pino Pelosi, la mattina del 26 aprile 1976, viene condannato in primo grado per "omicidio volontario in concorso con ignoti" a scontare la pena di 9 anni di carcere.

Poco tempo dopo l'avvocato della famiglia Pasolini si rende conto che la Procura Generale ha impedito la riapertura del caso per verificare più accuratamente la presenza e l'identità di tali ignoti durante la notte del 2 novembre 1975, dato che i sospettati erano stati rilasciati per carattere evasivo e mancanza di prove. Tuttavia il permesso all'avvocato di intervenire sul caso viene revocato e tutti i documenti della vicenda, inclusi oggetti e apparecchi ritrovati sul luogo del delitto di Pasolini, vengono chiusi in una scatola e archiviati per sempre.

Il Commento al Film[modifica]

Il Film si presenta già dal titolo come una esemplificazione del modo di svolgere da parte degli inquirenti italiani le indagini nella generalità dei casi. Pasolini, "Un Delitto Italiano" si ripropone proprio dalla locuzione "Un Delitto Italiano" di mostrare come si svolgono le indagini in Italia su un delitto come un altro. Da questo intento ne deriva un fim per nulla compassionevoli verso la classe della magistratura inquirente e delle forze dell'ordine italiano. In una giustizia fortemente corrotta, ideologicamente orientata, fortemente influenzata dalle dinamiche politiche e spesso anche incompetente. Una magistratura che per tutti questi fatto porta a non risolvere i casi oppure a risultati di una falsa giustizia volta il più delle volte a chiudere casi scomodi con una verità voluta dall'opinione pubblica o peggio dalla classe politica o dalla stessa magistratura, come d'altronde il Caso Pasolini dimostra.

Approfondimento: Il Caso Pasolini[modifica]

La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile. (Alberto Moravia)

Il monumento a Pasolini a Ostia

Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa; sarà l'amico Ninetto Davoli a riconoscerlo. Dell'omicidio fu incolpato Pino Pelosi di Guidonia, di diciassette anni, già noto alla polizia come ladro di auto e "ragazzo di vita", fermato la notte stessa alla guida dell'auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini, presso il Bar Gambrinus di Piazza dei Cinquecento, e da questi invitato sulla sua vettura (un'Alfa Romeo 2000 GT Veloce) dietro la promessa di un compenso in denaro.

Dopo una cena offerta dallo scrittore, nella trattoria Biondo Tevere nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si diressero alla periferia di Ostia. La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane venne minacciato con un bastone del quale poi si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo. Quindi Pelosi salì a bordo dell'auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre del 1976 con la sentenza della Corte d'Appello, pur confermando la condanna dell'unico imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell'omicidio.

L'Ipotesi Non Accreditate[modifica]

Due settimane dopo il delitto apparve un'inchiesta su L'Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista di quel giornale ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni ed alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane tuttavia, dopo una iniziale collaborazione avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio ("volevamo rubargli il portafoglio). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell'Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori - indizio della presenza di ben più di due persone sul posto - ed invocazioni disperate di aiuto da parte del Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota al Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità.

Nella sua biografia su Pasolini Enzo Siciliano sostiene che il racconto dell'imputato presentava delle falle perché il bastone di legno - in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l'abitazione di una delle baracche - a lui sembrava marcita per l'umidità e troppo deteriorata per costituire l'arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l'impossibilità, per un giovane minuto come il Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti.

Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un'inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un'intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.

Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent'anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un'intervista televisiva, ha affermato di non essere l'esecutore materiale del delitto di Pier Paolo Pasolini, e ha dichiarato che l'omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su una autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento "calabrese o siciliano" e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli " jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata Catania di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un'intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d'inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza "Profondo Nero" (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l'incolumità della propria famiglia ma di sentirsi adesso libero di poter parlare, dopo la morte dei genitori.

A trent'anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell'ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo.

Pier Paolo Pasolini tra Ferdinando Adornato e Walter Veltroni alla manifestazione in sostegno del movimento antifranchista davanti all'Ambasciata di Spagna a Piazza di Spagna a Roma il 24 settembre 1975

Un'ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla "lotta di potere" che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi "chiave", assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l'alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti e secondo alcune ipotesi suffragate da vari elementi, fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.

Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della sera, chiedendogli la riapertura del caso sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, "anni cui si facevano stragi e si ordivano trame". Nel 2010, l'avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che I proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l'identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s'era presentato la sera del delitto come alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all'indietro, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1.60 cm., tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell'epoca. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini che però sono state definitivamente archiviate all'inizio del 2015. Le nuove indagini non hanno portato infatti a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di Dna sui vestiti dello scrittore. Tracce però di impossibile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti.

I Sostenitori della Sentenza[modifica]

Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza. (Pier Paolo Pasolini - Ultima sua intervista, concessa poche ore prima di morire.)

Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent'anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l'immagine edulcorata del personaggio che porta a farne "un santo e un martire". Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell'uomo e dell'opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.

Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell'opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all'autodistruzione.

Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch'egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituirebbe la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto "bufale che si inseguono e che si divorano l'un l'altra", e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato", nel suo libro "Breve vita di Pasolini", scrive che l'attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (era alto 1,69 cm e pesava 59 kg.) che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte fautore del suo stesso destino La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico.

La tomba di Pier Paolo Pasolini disegnata dall'architetto Gino Valle, a Casarsa della Delizia. La lapide a fianco è della madre Susanna. Il padre giace in un'altra tomba.

Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand'era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, “per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt'altra… a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi”.

Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo. L'amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte». Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l'italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un'immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio. Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che "i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche".

A prescindere dai fatti e dalle responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che la sua morte è stata paragonata a quella di Caravaggio:

Secondo me c'è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt'e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi. (Federico Zeri)