L'Italia si industrializza (scuola media)

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L'Italia si industrializza (scuola media)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia per la scuola media 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

In Italia ci sono un nuovo Re e un nuovo presidente del consiglio[modifica]

La famosa copertina della Domenica del Corriere, disegnata da , illustra l'uccisione a rivoltellate di Umberto I a Monza il 29 luglio 1900, per mano dell'anarchico Gaetano Bresci che perseguiva il preciso scopo di vendicare le vittime delle repressioni governative di fine secolo.

L'inizio del Novecento per l'Italia fu caratterizzato da due importanti cambiamenti. Il primo si verificò nel 1900 quando un anarchico di nome Gaetano Bresci uccise il Re Umberto I [1] per vendicarsi per aver insignito con la Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia il generale Bava Beccaris che il 7 maggio 1898 ordinò l'uso dei cannoni contro la folla a Milano per disperdere i partecipanti alle manifestazioni di protesta popolare (chiamati Moti di Milano) causata dal forte aumento del costo del grano in seguito alla tassa sul macinato (1868-1884) compiendo un massacro.[2]

Il secondo avviene nel 1903 quando viene nominato presidente del consiglio il liberale Giolitti, un politico italiano che era già stato presidente del consiglio tra il 1892 e il 1893.

Giolitti fa riforme per creare il mercato di consumatori[modifica]

Per Giolitti e all'inizio anche il re era giunto il momento di ridurre il disagio economico dell'Italia per due motivi: per pura solidarietà e per vantaggi economici. Infatti, Giolitti sapeva che nella società dei consumatori il consumo crea ricchezza, ma se la popolazione non ha soldi da spendere e non può comprare, l'industria non ha motivo di produrre perché i suoi prodotti rimarrebbero invenduti. Il piano di Giolitti si basava su due punti: le riforme sociali e un lavoro che consisteva nel farle votare dalle forze politiche che sono avversari. Ad essa poi doveva seguire la riforma del sistema di voto con l'introduzione del suffragio universale maschile.[3]

Le riforme sociali[modifica]

Il presidente del consiglio Giolitti, il primo a capire le necessità sociali dell'Italia

Giolitti, già presidente del consiglio tra il 1891 e il 1892, fece però la maggior parte delle sue azioni tra il 1903 e il 1914, durante i quali guidò il paese quasi ininterrottamente tranne per alcuni periodi in cui comunque manteneva una certa influenza.

Nei confronti delle agitazioni sociali Giolitti mutò radicalmente tattica rispetto alle tragiche repressioni dei governi precedenti e mise in pratica i concetti che da anni venivano discussi in Aula e durante le manifestazioni elettorali:

dichiarò il diritto dei lavoratori ad avere le proprie associazioni sindacali i sindacati erano preferiti perché un'organizzazione garantisce sempre e comunque maggior ordine rispetto ad un movimento spontaneo e senza guida; inoltre, e le informative prefettizie lo dimostravano, gli scioperi avevano alla base motivazioni economiche e non politiche e pertanto la dialettica tra le parti sociali, non coartata dall'intervento della pubblica sicurezza, avrebbe risolto le cose da sé.[4]

I precedenti governi, quindi, ravvisando nelle agitazioni operaie un intento sovversivo, avevano commesso un tragico errore: la repressione degli scioperi era espressione di una politica folle, che davvero avrebbe potuto scatenare una rivoluzione. Lo Stato non doveva spalleggiare l'una o l'altra parte in conflitto; doveva semplicemente svolgere una funzione arbitrale e mediatrice, limitandosi alla tutela dell'ordine pubblico.

Ciò permise la creazione dei primi sindacati, tra cui il più importante fu la CGL (Confederazione Generale del Lavoro) fondata a Milano nel 1906,[5] e in contrapposizione fu fondata il 5 maggio 1910, con sede a Torino la Confindustria per tutelare gli interessi delle aziende industriali nei confronti dei sindacati dei lavoratori.[6]

Dopo questa seguirono molte altre norme a tutela del lavoro (in particolare infantile e femminile), sulla vecchiaia, sull'invalidità e sugli infortuni; i prefetti furono invitati ad usare maggiore tolleranza nei confronti degli scioperi apolitici; nelle gare d'appalto furono ammesse le cooperative cattoliche e socialiste. Nel 1904 venne inoltre approvata una legge che regolamentava in maniera univoca i manicomi, soggetti prima a numerosi regolamenti locali e decisioni arbitrarie: la legge stabiliva che i malati psichiatrici potessero essere internati solo su decisione giudiziaria e non per volontà di privati o famigliari; stabiliva inoltre che potessero essere dimessi in caso di miglioramento evidente, anche se lasciava comunque molto potere al direttore sanitario delle strutture.[7]

Il suffragio universale maschile[modifica]

Le donne in Italia ottennero il diritto a votare solo alla fine della Seconda guerra mondiale

Giolitti nel 1912 modifica la legge elettorale introducendo il suffragio universale maschile, punto cardine del suo piano di riforme e cardine di una moderna liberaldemocrazia. Furono ammessi tutti gli uomini, anche gli analfabeti, a condizione che avessero fatto servizio militare e avessero trent'anni.

Molti storici, in realtà, ravvisano in questa mossa di Giovanni Giolitti un errore. Il suffragio universale, contrariamente alle opinioni di Giolitti, avrebbe destabilizzato l'intero quadro politico: se ne sarebbero avvantaggiati, infatti, i partiti di massa che erano o stavano per sorgere (partito socialista, partito popolare e, in seguito, partito fascista). Ma Giolitti «era convinto che l'Italia non potesse crescere economicamente e socialmente senza allargare il numero di coloro che partecipavano alla vita pubblica. Nel ventennio precedente il Paese aveva fatto grandi progressi, risanato il debito estero, conquistato una colonia sulla sponda settentrionale dell'Africa. Era ora che il suo sistema elettorale venisse corretto e adattato alla realtà sociale.[8]

Alcuni parlamentari proposero anche il suffragio femminile, alle elezioni politiche, sulla linee di alcune proposte precedenti che concedevano il diritto di scelta degli amministratori alle donne possidenti, ma Giolitti preferì introdurlo prima alle elezioni amministrative, in modo che, visto anche l'allargamento del voto agli uomini analfabeti, non ci fosse un'eccessiva cessione di potere ad una base elettorale inesperta, da lui definito «un salto nel buio». Nominò quindi una commissione per modificare il codice civile e ammettere le donne al voto locale, ma poi furono rimandati e accantonare i progetti.[9][3]

Lo Stato come mediatore[modifica]

Queste riforme furono accompagnate dall'idea che lo Stato è mediatore dei conflitti sociali. Cioè se ad esempio sindacati e padronati non trovano un accordo, lo Stato agisce in prima persona per trovare una soluzione. Grazie a Giolitti come intermediario gli operai italiani ebbero paghe migliori e quindi maggiori possibilità di acquisto.

Giolitti nazionalizza le ferrovie[modifica]

Una locomotiva gruppo 640

Grazie alla conversione della rendita, cioè la sostituzione dei titoli di Stato a tassi fissi in scadenza (con cedola al 5%) con altri a tassi inferiori (prima il 3,75% e poi il 3,5%) attuata da Giolitti, Il bilancio dello stato si arricchì, così, di un gettito annuo che si aggirava sui 50 milioni di lire dell'epoca. Le risorse risparmiate sugli interessi dei titoli di stato furono usate per completare la nazionalizzazione delle Ferrovie, che all'epoca erano gestite da privati che decidevano prezzi e orari dei treni (esempio per andare a Venezia da Genova nella tratta Genova-Milano si potevano spendere 150 e nella Milano-Venezia 100), offrendo un servizio frammentato. La nazionalizzazione fu un grande contributo allo sviluppo economico.[3]

Il protezionismo fa sviluppare il "triangolo industriale"[modifica]

Tuttavia l'elemento che permise l'industrializzazione dell'Italia fu l'attuazione di una politica protezionista che era già attuata prima di Giolitti ma in misura minore.

Il protezionismo per l'Italia era necessario per proteggere e salvaguardare i prodotti dell'industria (esempio i macchinari) che erano, a differenza di quelli stranieri, di peggiore qualità e costo più alto. Il protezionismo fece nascere il triangolo industriale che tra le città di Genova (Liguria) Milano (Lombardia) e Torino (Piemonte) che divenne la zona più sviluppata e ricca d'Italia.[10]

Gli italiani usano le nuove invenzioni[modifica]

Telegrafo senza fili inventato dall'italiano Marconi

Lo sviluppo del "triangolo industriale" fu permesso grazie agli investimenti di imprenditori, leggi che lo favorivano (Protezionismo...) e anche le invenzioni di scienziati e ingegneri.

La più importante fu lo sfruttamento della centrale idroelettrica lungo il fiume Po che per un paese povero di risorse energetiche come l'Italia è stato molto importante per lo sviluppo e la fornitura elettrica delle industrie.

Gli italiani eccellevano nella chimica soprattutto nel campo dell'industria della gomma prodotta in stabilimenti come la Pirelli di Milano e nell'industria automobilistica con molte società che ci sono anche oggi come la Fiat, l'Alfa Romeo. Anche l'industria tessilesi sviluppò e con l'aumento del mercato interno migliorano la quantità e il prezzo dei prodotti. Marconi in Italia utilizza per la prima volta il telegrafo senza fili da lui inventato e per il quale ha ricevuto il Nobel per la fisica 1909; nel 1920 grazie al telegrafo inventò la radio

Il Sud è caratterizzato da arretratezza[modifica]

Un aranceto. Le colture specializzate risentirono molto del blocco delle esportazioni

Per Giolitti il progresso per l'Italia era permesso solo attraverso lindustria. Quindi favorì (con sgravi fiscali, finanziamenti) l'industria anche nel sud Italia, dove costruì un impianto siderurgico: il complesso Ilva di Bagnoli (Napoli). Mentre in campo agricolo i proprietari terrieri si dividevano in due categorie:

  • Quelli specializzatori che piantavano colture specializzate (arance, pomodori...) che esportavano all'estero, soprattutto in Francia, e da cui ricavavano enormi guadagni. Ma le esportazioni furono danneggiate dal protezionismo, che fece aumentare le tasse doganali dei prodotti esportati in Italia. I paesi esportatori (tra cui la Francia) per ripicca bloccano le importazioni dei prodotti agricoli del sud Italia che causò la rovina dei produttori.
  • Quelli conservatori (i maggiori) che mantennero i propri campi (latifondi) a grano, che non li migliorarono con moderne tecniche agricole e che furono avvantaggiati dal protezionismo perché tutto quello che producevano lo vendevano sul mercato interno senza concorrenza dall'estero. Inoltre questi campi avevano una resa bassissima e non vi venivano attuate migliori,e ma producevano solo quello che bastava a vivere nel lusso.[11]

Il terremoto del 1908 a Messina e Reggio Calabria[modifica]

Bersaglieri scavano tra le macerie dopo il terremoto

A peggiorare la situazione nel 1908 nel sud Italia si verificò un terremoto noto come "terremoto di Messina del 1908", che è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. Il sisma, che si verificò alle ore 05:20 (ora locale) del 28 dicembre 1908, in 37 secondi danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio, uccidendo metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella calabrese.[12].

Si tratta della più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime a memoria d'uomo, e del disastro naturale di maggiori dimensioni che abbia colpito il territorio italiano in tempi storici.[13].

I primi a prestare soccorsi furono i marinai delle navi straniere che erano nelle vicinanze (russi, inglesi...), che avvertirono le navi italiane con il telegrafo della gravità del terremoto. Successivamente venne avvisato il Governo che esaminò la situazione emanando di concerto le prime azioni da fare. Grande parte dell'esercito e della marina fu mandato a prestare soccorso. Il 30 arrivò persino il Re che elogiò la marina italiana e straniera per i soccorsi prestati.

La ricostruzione delle città distrutte furono assicurate attraverso i dispositivi di legge e le risorse finanziarie. Grazie ad importanti aiuti giunti da varie parti del mondo furono analizzate le ipotesi di intervento per una riedificazione. A un primo suggerimento di demolire completamente quanto rimasto di Messina e costruirla in altra zona gli abitanti si ribellarono. Abbandonato il progetto fu iniziato lo sgombero delle macerie, la demolizione degli edifici inagibili, il ripristino dei servizi essenziali e delle case ancora in parte o in tutto abitabili. Istituite apposite commissioni, fu rivisto il piano di urbanizzazione, identificando criteri più idonei per le nuove edificazioni e richiedendo tra l'altro l'adozione di metodologie costruttive antisismiche.[14]

Giolitti, il ministro della malavita[modifica]

Gaetano Salvemini (a sinistra) con w:Uberto di Löwenstein-Wertheim-Freudenberg (al centro) e w:Mario A. Fei (1935)

Giolitti venne sospettato di corruzione e di praticare anche altre attività illecite; tutte queste accuse vennero scritte da Gaetano Salvemini nel suo saggio intitolato "il ministro della malavita" che non è considerato infondato ma solo leggermente eccessivo.

Giolitti è definito il ministro della malavita perché è sospettato di aver vinto (e di aver fatto vincere i "giolittiani") le elezioni grazie alle clientele definite politiche nel Mezzogiorno (sud Italia). La clientela politica consiste in favori in cambio del voto alle elezioni (locali o nazionali): se il politico veniva eletto prometteva ai "suoi clienti" dei benefici. Esempio: un direttore di una fabbrica promette di dare il suo voto al politico X questo a sua volta promette che se viene eletto concede condizioni igienico-sanitarie di lavoro minori, minori controlli alla fabbrica e la partecipazione agli appalti; in cambio chiede che assuma le persone Y e Z, anch'essi suoi clienti politici che chiedono un lavoro. Giolitti si basava su clientele a capo di una persona eminente a cui offriva posti in parlamento, appalti,... in cambio, tutto il gruppo lo votava e per ripagarlo gli dava posti di lavoro, la libertà... Quindi, in breve,, il clientelismo è la rovina di un paese perché viola la legge e non è simbolo di democrazia.[15]

L'Italia vuole un impero coloniale[modifica]

Il poeta Giovanni Pascoli appoggiò l'entrata in guerra dell'Italia contro la Turchia

Giolitti anche se contrario venne costretto a compiere la conquista di una colonia africana, anche se riteneva che la conquista avrebbe portato più danni che altro. L'Italia inoltre era memore della sconfitta subita in Etiopia nel 1896 e voleva riscattarsi oltre a non essere l'unica nazione europea a non avere colonie, inoltre c'era la necessità di fermare l'emigrazione e condurre gli emigrati non in stati esteri ma in colonie italiane. Secondo uno scrittore di quei tempi, Enrico Corradini l'Europa è divisa tra le nazioni capitaliste, cioè Inghilterra e Francia, e nazioni proletarie come Italia e Germania e secondo lui l'Italia deve essere guidata dagli uomini migliori, però in maniera dittattoriale e non democratica. Secondo Corradini l'Italia deve avere delle colonie perché le nazioni povere devono cercare, attraverso l'imperialismo, un “posto al sole”; e quindi l'Italia, che è una potenza povera, ma non deve più farsi mettere i piedi in testa dalle nazioni colonialiste.[16] La sua opinione si diffuse e venne ripresa da altri autori tra cui Giovanni Pascoli che anche se socialista era a favore dell'interventismo dell'Italia, su cui scrisse un'opera intitolata La grande proletaria s'è mossa. La spedizione in Libia venne incitata anche da D'Annunzio, che scrisse per commemorarla le dieci Canzoni delle gesta d'Oltremare. Tutta l'Italia vedeva vantaggiosa la conquista della Libia: la borghesia settentrionale vedeva nell'intervento militare un'occasione per schiudere alla propria industria nuovi mercati, mentre il proletariato agricolo del meridione, che considerava la Libia come terra generalmente fertile, riteneva che la conquista del paese avrebbe ridotto la piaga dell'emigrazione.

La conquista della Libia[modifica]

Crescita del territorio della Libia italiana

Quindi, vista la pressione dell'opinione pubblica, il presidente del consiglio Giolitti, il 7 ottobre 1911, in un discorso al Teatro Regio di Torino, definì la guerra "una fatalità storica" e nelle sue memorie spiegò di essere intervenuto in Libia per evitare che a seguito dell'occupazione francese del Marocco tutto il Mediterraneo meridionale divenisse "un condominio anglo-francese"[17]. La Chiesa cattolica, nel suo insieme, appoggiò la guerra e numerosi vescovi diedero la loro benedizione alle truppe in partenza per il fronte[18]. Venne scelta la Libia come colonia perché era tra le poche terre africane rimaste libere (era un possedimento turco ma nient'altro) e per impedire che i francesi la conquistassero. Nella campagna furono inviati 34 000 soldati contro i 4 000 soldati turchi di stanza in Libia a cui si aggiunsero 2000/3000 guerriglieri libici. Nonostante la superiorità numerica la conquista venne sottovalutata. Gli italiani dovettero combattere contro una strenua resistenza dei turchi e delle popolazioni locali che, dopo aver ucciso circa 3000 soldati italiani, dovettero subire le reazioni barbariche degli italiani (per vendetta).

Angelo Del Boca fu il primo studioso italiano a denunciare le atrocità compiute dalle truppe italiane in Libia anche ricorrendo a bombardamenti aerei su centri abitati e talora persino all'impiego di armi chimiche. La sua opera di ricostruzione storica dei crimini italiani in Africa e di fustigazione del colonialismo italiano si è scontrata, secondo Del Boca stesso, anche con la storiografia vicina "agli ambienti conservatori per cui certe cose non si possono dire perché siamo, appunto, brava gente"[19]. Di rilievo la sua polemica, con il giornalista Indro Montanelli il quale, contro Del Boca, sostenne ostinatamente l'opinione secondo cui quello italiano fu un colonialismo mite e bonario [20][21][22]; tuttavia nel 1996 Montanelli si scusò pubblicamente con Del Boca quando quest'ultimo dimostrò, documenti alla mano, l'impiego di tali mezzi di distruzione[23].

Truppe italiane sparano contro i turchi a Tripoli (1911)

Nel 1912 venne ufficializzata la conquista della Libia, della quale le aspirazioni coloniali spinsero l'Italia a impadronirsi, cioè a impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al w:Fezzan, avrebbero costituito la Libia dapprima come colonia italiana ed in seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato anche il w:Dodecaneso nel Mar Egeo per impedire aiuti ai soldati in Libia; quest'ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra,[24] ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna[25] nel 1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione, e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto. Della Libia in realtà sotto il reale controllo dell'Italia c'erano solo le zone costiere, mentre l'interno sarà conquistato dopo circa quindici anni di guerra con enormi massacri della popolazione libica.

La conquista in realtà fu una delusione: infatti, mentre enormi erano stati i costi militari, non altrettanto furono i guadagni derivati dalla conquista. La Libia era una terra arida e non coltivabile e per questo venne definita uno "scatolone di sabbia". A quei tempi nessuno sapeva che sottoterra c'era il petrolio.

Note[modifica]

  1. Umberto I di Savoia, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  2. Fiorenzo Bava Beccaris, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  3. 3,0 3,1 3,2 Giovanni Giolitti, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  4. Sindacato, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  5. Confederazione Generale del Lavoro, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  6. Confederazione generale dell'industria italiana, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  7. L. Anfosso, La legislazione italiana sui manicomi e sugli alienati pag. 52.
  8. Sergio Romano, Suffragio universale. Una rivoluzione italiana
  9. La condizione delle donne in Italia fino al 1946
  10. Triangolo industriale, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  11. Vittoria Calvani, Storiemondi, Mondadori, p. 49, ISBN 9788824745987.
  12. Il terremoto di Messina, raistoria.rai.it. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  13. Etna: Mito d'Europa, p. 37, Maimone, 1997
  14. Terremoto di Messina del 1908, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  15. Il ministro della mala vita, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  16. Enrico Corradini, in Wikipedia. URL consultato il 16 febbraio 2016.
  17. Libia : uno scatolone di sabbia per 30 000 coloni
  18. Labanca 2011, p. 85-86
  19. Una intervista di Anais Ginori ad Angelo Del Boca e una nota di Antonio Cassese su una turpe pagine di storia che l'Italia continua a rimuovere. Entrambi da la Repubblica del 23 maggio 2006, eddyburg.it. URL consultato il 2 febbraio 2016.
  20. Michele Brambilla, Montanelli, Del Boca e l' Etiopia: le guerre non finiscono mai, in Corriere della Sera, 1º ottobre 1996.
  21. Angelo Del Boca, I gas di Mussolini, Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 1996, pp. 29 e 32.
  22. Sandro Gerbi, Raffaele Liucci, Lo stregone: la prima vita di Indro Montanelli, Einaudi, 2006.
  23. Indro Montanelli, Gas in Etiopia: i documenti mi danno torto, in Corriere della Sera, 13 febbraio 1996. (archiviato dall'url originale il ).
  24. Trattato di Ouchy (1912), sintesi.
  25. Trattato di Losanna (1923), testo completo.