Edificabilità: dalla licenza alla concessione (urbanistica)

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Edificabilità: dalla licenza alla concessione (urbanistica)
Tipo di risorsa Tipo: appunti
Materia di appartenenza Materia: Urbanistica

La legge 765/67 e il D.M. 1444/68 introdussero il concetto di concessione edilizia. Concetto portato avanti poi dalla legge 10/77 che ha definitivamente sancito questi principi concretizzandoli. Il diritto urbanistico esistente dalla Roma antica prevedeva un binomio stretto e radicato nella cultura del paese, tra proprietà di un terreno e la possibilità del suo completo sfruttamento, senza alcuna limitazione.

Tale binomio era previsto e normato attraverso la cosiddetta licenza edilizia, che riconosceva ai proprietari di un terreno di poter edificare senza bisogno di altre autorizzazioni, era il solo diritto di proprietà che implicitamente contemplava anche il diritto edificatorio.

Uso civico: è la possibilità della comunità di utilizzare le risorse del suolo, sfruttando ad esempio i frutti che un terreno produce. Vi sono perciò ad esempio interi boschi, patrimonio comune della collettività, amministrati dalla cosiddetta casa delle regole, il cui legname o frutti vengono sfruttati a favore dell'intera collettività. In definitiva l'uso civico è un diritto di godimento che i membri di una collettività hanno su terre di altrui proprietà, pubblica o privata. Va ricordato che tutte le terre di uso civico sono sottoposte a vincoli ambientali.

Nel 1962 venne proposto di eseguire un esproprio generalizzato di aree non edificate o difformi al PRG e istituire per queste un nuovo PRG da attuarsi attraverso dei piani particolareggiati (PPE). Tutto ciò era finalizzato a riorganizzare le città e le sue zone periferiche operando un rinnovamento della legislazione urbana.

La proposta prevedeva inoltre di istituire il cosiddetto diritto di superficie, ovvero il “diritto costituito a tempo determinato o indeterminato, dal proprietario di un terreno a favore di un altro soggetto di fare (o mantenere) sul terreno stesso (o nel sottosuolo) una costruzione, la quale, in deroga al principio di accessione, rimane di proprietà di chi ha costruito fino alla scadenza stabilita”. Tale principio si ricollega all'esproprio, in quanto questo veniva pagato in funzione della rendita agraria, in modo da calmierare i guadagni dei privati proprietari di terreni (rendita), legati proprio all'aumento di valore acquisito dal terreno nel suo passaggio di destinazione da agricolo e edificabile.

La riforma proposta nel '62 venne però bocciata, e bisognerà aspettare ancora alcuni anni, precisamente fino al 1968, perché la corte costituzionale, attraverso la sentenza n. 55, dichiari illegittima la non indennità di esproprio per i vincoli posti dalle destinazioni delle zone nel PRG. Infatti prima i vincoli di destinazione di zona erano validi a tempo indeterminato e divenivano immediatamente operativi, anche se a ciò non seguiva l'atto di esproprio e quindi il pagamento dell'indennità, fino a che l'opera non veniva (eventualmente) eseguita.

Dal '68 al '77 vennero emanati provvedimenti intermedi per modificare la legge urbanistica e per sancire che il vincolo preordinato all'esproprio avesse durata massima di 5 anni. Il problema che nacque è che trascorsi i 5 anni tali zone diventavano zone cosiddette “bianche2, ovvero non regolate e quindi secondo un interpretazione da considerarsi come zone agricole, secondo un seconda invece il privato aveva la possibilità di realizzare sul terreno stesso le opere previste per poi vendere all'amministrazione pubblica.

Per trovare una soluzione venne presentata una legge nel 1977, detta legge Bucalossi “norme per l'edificabilità dei suoli”. Tale legge conteneva tre aspetti fondamentali, quali:

  • passaggio dal concetto di licenza edilizia a concessione edilizia (onerosa);
  • istituzione di un programma di attuazione dei piani urbanistici;
  • normativa contro gli abusi edilizi.

Come abbiamo visto la licenza edilizia era un riconoscimento dell'esercizio di un diritto connaturato con l proprietà del suolo. Tale licenza venne sostituita dalla concessione edilizia basata sul presupposto che era l'ente pubblico a dover decidere riguardo alle possibilità edilizie di un privato, anche se proprietario di terreno edificabile.

La legittimazione del provato a costruire venne perciò legata in modo stretto alle pianificazioni di edificazione fatte dall'ente pubblico. La concessione edilizia venne inoltre ancorata ai limiti imposti dalla legge 765/67 e al D.M. 1444/68 che prevedevano vincoli molto severi e restrittivi, specialmente per comuni sprovvisti di PRG.

È infatti con la legge del '68 che attraverso l'introduzione del concetto di standard urbanistico, seppur in modo rudimentale, si prevede nelle zone di espansione (zone C) un blocco sulle quantità edificatorie (vincolo legato al concetto di indice fondiario e indice territoriale quando questo si avvicina in valore all'unità – vedi dimostrazione slide). Inoltre tutte le zone al di fuori della zona A, B e C erano definite zone E, ovvero zone agricole, caratterizzate da un indice di edificazione pari a 0,03 mc/mq (circa 0,01 mq/mq). Il terreno sul quale erano però calcolati i metri quadri costruibili era l'intero terreno di proprietà dell'agricoltore, anche se questo era costituito da più lotti non limitrofi. Il conto non veniva quindi operato come solitamente avviene, singolarmente sul lotto sul quale si edifica, ma il terreno considerato era una sommatoria di più aree.

Era stata prevista tale procedura in quanto si calcolava che una famiglia di agricoltori che vivesse in circa 100 mq avrebbe potuto sostentarsi autonomamente attraverso attività meramente agricole possedendo circa 10.000 mq di terreno. La casa quindi sarebbe sorta su una porzione di tale terreno permettendo agli agricoltori di coltivare i campi senza dover eseguire grandi spostamenti, in quanto presumibilmente i terreni sarebbero stati collocati in zone limitrofe. Questo permetteva di non prevedere particolari opere di urbanizzazione e permettere quindi di edificare solo a famiglie o a proprietari che vivessero proprio attraverso lo sfruttamento diretto dei propri terreni.

Tutte queste considerazioni si verificarono poi nella pratica errati in quanto il sistema venne “aggirato” da privati cittadini che in realtà non svolgevano la mansione agricola. Infatti in molti casi imprenditori rilevavano tutti i 10.000 mq di terreno, costruivano solo su una parte di questi le famose seconde case, lasciando il resto delle proprietà assolutamente incolte. Questo fenomeno portò ad avere due grandi svantaggi per la collettività, si andò infatti incontro ad un crescente inselvatichimento dei campi e quindi ad un degrado delle zone extraurbane, ed inoltre i privati che non svolgevano più attività agricole circoscritte al luogo di abitazione, iniziarono a chiedere alla pubblica amministrazione ingenti opere di urbanizzazione come strade e acquedotti in zone non densamente abitate e dove quindi non erano state previste.

Tale fenomeno venne perciò contrastato da alcune normativa a partire dagli anni '90, dato che da tale situazione la pubblica amministrazione andava incontro unicamente a passività. Abbiamo detto che la concessione edilizia risulta essere onerosa, in particolare il contributo di concessione da corrispondere al comune è costituito da:

  • una quota del costo di costruzione, variabile dal 5 al 20% di questo, in funzione delle caratteristiche costruttive;
  • una quota afferente gli oneri di urbanizzazione, ovvero commisurata all'incidenza delle spese di urbanizzazione primaria e secondaria.

È con il testo unico dell'edilizia 380/2001 che si è passati da concessione edilizia a permesso di costruire, tale passaggio non ha modificato nella sostanza le regole vigenti per la concessione edilizia.