Carlo Goldoni (superiori)

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Carlo Goldoni (superiori)
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Carlo Goldoni fu un importante commediografo veneziano, artefice di una fondamentale riforma del teatro moderno.

La vita[modifica]

Ritratto di Goldoni, pastello su carta, 1750 circa, Milano, Museo Teatrale alla Scala

Nacque a Venezia nel 1707 da una famiglia borghese. Già in giovane età viaggiò per l'Italia a causa dell'irrequietudine del padre, un medico continuamente in cerca di una sistemazione economica. A Perugia egli studiò presso i Gesuiti, per poi essere inviato a Rimini per ricevere un'istruzione superiore. Di lì, però, fuggì con una compagnia di comici per raggiungere la madre a Chioggia. Studiò poi Legge a Pavia, finché non fu cacciato a causa di una satira da lui composta sulle pavesi. Dopo alcuni anni inquieti trovò lavoro presso la cancelleria criminale di Chioggia (esperienza che gli sarà di ispirazione per le Baruffe chiozzotte) e, successivamente, alla cancelleria di Feltre. Alla morte del padre, avvenuta nel 1731, dovendo provvedere alla madre egli conseguì in fretta la laurea in Legge a Padova e si avviò all'avvocatura. La sua vocazione per il teatro, tuttavia, si era già manifestata tempo addietro. Le sue assidue letture e i contatti con la scena dettero finalmente il loro frutto quando, nel 1734, conobbe a Verona il capocomico Giuseppe Imer, grazie al quale ottenne l'incarico di scrivere per il teatro veneziano di San Samuele. La scrittura non gli procurava però di che vivere, tanto che nel 1743 dovette lasciare Venezia a causa della pessima situazione economica. Tra il 1745 e il 1748 visse a Pisa dove, oltre a esercitare la professione forense, frequentò il locale circolo dell'Arcadia. A Livorno conobbe in capocomico Girolamo Medebac, per il quale divenne "poeta di teatro" dietro compenso. Divenuto uno scrittore che destinava i suoi prodotti al mercato, Goldoni dovette anche fronteggiare la concorrenza del rivale in arte Pietro Chiari. Con la compagnia Medebac Goldoni entrò in conflitto, soprattutto per questioni economiche. Nel 1753 passò al teatro San Luca, di proprietà del nobile Francesco Vendramin. Qui, oltre alla concorrenza di Chiari, dovette subire anche quella del conservatore Carlo Gozzi. Vistosi sottrarre il pubblico da quest'ultimo, Goldoni si recò a Parigi nel 1762 per dirigere la Comédie italienne. Divenne anche maestro d'italiano delle principesse reali, dietro modesta pensione. La Rivoluzione sconvolse completamente il mondo nel quale era abituato a vivere; nel 1792 la sua pensione fu sospesa. Il commediografo morì in miseria nel 1793, proprio il giorno in cui l'Assemblea dichiarava di riconoscere nei suoi testi "un presagio della caduta del dispotismo".

La visione del mondo[modifica]

I rapporti con l'Illuminismo[modifica]

Carlo Goldoni non era uomo di vasta cultura, ma attraverso frequenti viaggi in Italia e amicizie con personalità straniere presenti nella sua città risentì comunque del clima veneziano del tempo, nel quale nei primi decenni del secolo era penetrata la cultura europea più illuminata. Tali novità culturali giungevano grazie ai frequenti contatti diplomatici e commerciali con l'estero da parte dei ceti burocratici e borghesi, nonché attraverso i viaggi di piacere dei nobili; vennero così introdotti in patria i primi saggi relativi alla filosofia dei "lumi". A Venezia fervevano inoltre la produzione libraria e la pubblicistica (tra il 1710 e il 1762 nacquero ben 27 periodici, che informavano anche sulle pubblicazioni estere): la nuova cultura giunse così ad ampi strati della società. Non bisogna però pensare che tali idee dessero vita a un reale pensiero innovatore, data la struttura chiusa e oligarchica del governo della Serenissima. Non bisogna quindi pensare a Goldoni come a un illuminista militante (quali furono, a Milano, Pietro Verri o Cesare Beccaria) e nemmeno come uno scrittore che perorasse una battaglia civile in nome di idee riformatrici (quale fu il Parini). Secondo il critico Walter Binni, in Goldoni si possono ravvisare le componenti di quella "media civiltà illuministica", di quella mentalità pragmatica ma non necessariamente gretta dei ceti medi che avevano assimilato, sia pure in forma adattata al loro orizzonte mentale e alle loro esigenze, le idee dominanti, concretizzandole in forme prudenti ma allo stesso tempo pratiche.

Motivi "illuministici" nella personalità goldoniana[modifica]

Goldoni tratta della vita esclusivamente nella sua dimensione mondana, mostrandosi estraneo a ogni possibile ansia di trascendente. Vi è in lui il rifiuto di ogni sorta di metafisica, in favore di una filosofia eminentemente pratica, fondata sul "buon senso", avente per oggetto i problemi concreti della vita quotidiana e per fine il bene comune. È fortissimo in Goldoni il senso della socialità, della collettività:; tutto ciò che attenta a un pacifico vivere sociale, come l'ipocrisia o la finzione, viene respinto in quanto dannoso e biasimevole. La civiltà borghese e mercantile nella quale lo scrittore vive e opera si fonda sulla trasparenza nell'agire e sulla fedeltà alla parola data: assume una posizione centrale la figura dell' "uomo dabbene", del "cittadino onorato", così come la fiducia in una convivenza civile libera, aperta e ispirata ai principi della "ragione" e della "natura". Da qui gli aspetti apparentemente "rivoluzionari" della commedia goldoniana: l'antipatia per la prepotenza e la superbia dei nobili, per la loro vuota ostentazione di titoli e diritti feudali e per il loro parassitismo. Nelle commedie è inoltre ravvisabile il vagheggiamento di un'uguaglianza primitiva degli uomini; tale idea è però puramente poetica e utopica. La mentalità di Goldoni è prudentemente riformatrice: egli non scardina l'ordine gerarchico tra le classi e auspica una quieta convivenza tra i vari ceti, senza alterare la fisionomia specifica di ognuno. Egli ammira inoltre le società mercantili del nordeuropa, dove accanto ai nobili anche i borghesi partecipano della vita politica. Tali società gli appaiono come la sede di ogni virtù morale e civile; questa disposizione cosmopolita avvicina ulteriormente lo scrittore alla "media civiltà illuministica" e da questa traspare l'ideale di una civiltà laboriosa e pacifica, all'interno della quale può affermarsi l'eroe cone uomo onesto, produttivo, attento al bene della famiglia come al bene della collettività. Lo scenario ideale è la città: sede delle attività più disparate, degli scambi, dei traffici ma anche della conversazione civile, del divertimento e della gioia collettiva. Va da sé che Goldoni consideri negativa ogni chiusura al mondo (ad esempio ne I rusteghi o nel Sior Todero Brontolon), che mortifichi il libero sviluppo della personalità attraverso la vita sociale. Chiudersi alla società, infatti, nell'ottica dell'autore va contro la "natura" e la "ragione". Egli auspica, ottimisticamente, che sia possibile trovare un equilibrio fra i ceti e fra gli individui. Il suo teatro è sostanzialmente in linea con lo spirito del tempo e fu apprezzato da personalità come Voltaire (che lo definì "pittore della Natura") o Pietro Verri.

La Venezia in cui Goldoni viveva

La riforma della commedia[modifica]

All'inizio del Settecento la scena era ancora dominata dalla Commedia dell'Arte, che aveva goduto di enorme successo nel secolo precedente. In tale tipo di teatro, gli attori impersonavano maschere tradizionali (Arlecchino, Pantalone, Brighella, il Dottore...) e improvvisavano le battute, spesso volgari e licenziose, sulla base di un approssimativo canovaccio. Come spiega nella prefazione alla prima edizione delle commedie e nei Mémoires, Goldoni rifiuta la Commedia dell'Arte perché intrisa di una comicità puramente volgare e buffonesca, per la monotonia dei personaggi ridotti a stereotipi, per la ripetitività e la prevedibilità della recitazione degli attori e per l'inverosimiglianza e l'incoerenza degli intrecci. Nonostante la Commedia dell'Arte fosse già in declino, la critica di Goldoni non si scagliò contro tale declino, bensì contro l'impianto stesso di tale forma teatrale e sulla visione del mondo che presupponeva.

Il "Mondo" e il "Teatro"[modifica]

La cultura arcadica deprecava la stravaganza e l'esagerazione in nome dei principi della semplicità, dell'ordine razionale, del buon gusto e della naturalezza. Goldoni stesso risentì di tale clima culturale, elemento imprescindibile per la sua riforma del teatro. A differenza degli scrittori i cui tentativi di riforma erano rimasti al chiuso delle accademie, egli, anche per il fatto di vivere a Venezia (dove esisteva una vera e propria cultura dello spettacolo), era un uomo di teatro propriamente detto: viveva a contatto con il mondo della scena e degli attori e conosceva i gusti del pubblico. Nella sua riforma, non si ispirò a precettistiche libresche o esclusivamente a modelli letterari: i due libri su cui studiò sono il "Mondo" e il "Teatro".

«Le mie Commedie sono principalmente regolate, o almeno ho creduto di regolarle, co' precetti che in essi due libri [del "Mondo" e del "Teatro"] ho trovati scritti: libri, per altro, che soli certamente furono studiati dagli stessi primi Autori di tal genere di Poesia, e che daranno sempre a chicchessia le vere lezioni di quest'Arte. La natura è una universale e sicura maestra a chi l'osserva.»

(Prefazione dell'autore alla prima raccolta delle commedie)

Non si tratta, dunque, di una "semplice" riforma in ambito letterario. L'operazione mira a incidere soprattutto sullo spettacolo stesso e sui suoi rapporti con la vita sociale. Da un lato, Goldoni intende produrre testi adatti alla scena e che vengano incontro al gusto del pubblico; dall'altro, egli desidera una commedia "verisimile", specchio fedele della società del tempo, dei suoi caratteri e dei suoi problemi.

Il superamento della Commedia dell'Arte: dalla "maschera" al "carattere"[modifica]

Una commedia "verisimile" e ispirata alla "Natura" non può utilizzare maschere fisse. I "caratteri" goldoniani sono colti nella loro individualità, irripetibili e inconfondibili, ricchi di sfumature psicologiche. Tra la "maschera" e il "carattere" vi è la stessa differenza che esiste tra la maschera (l'oggetto fisico, indossato dall'attore) e il volto. La prima è sempre fissa e immutata, mentre il secondo presenta una varietà pressoché infinita di espressioni. Per Goldoni i caratteri sono finiti riguardo al genere (l'avaro, il geloso, il bugiardo ecc.), ma infiniti nelle specie (esistono infiniti modi di essere avari, gelosi, bugiardi ecc.). Ne I rusteghi rappresenterà ben quattro modi di essere "rustico", burbero e scontroso. C'è, dunque, una ricerca dell'individuo unico e irripetibile: se l'arte classica rappresentava categorie di personaggi, quest'arte "borghese" rappresenta il personaggio. Sotto questo aspetto, Goldoni anticipa la letteratura realistica del secolo successivo nel delineare meticolosamente il personaggio e renderlo "vivo". Il carattere strettamente "borghese" della visione goldoniana si spiega sia con la sua provenienza dal ceto medio, sia a causa del contensto di Venezia. Qui, grazie all'antica tradizione mercantile, si era affermata una classe borghese solida e prospera, detentrice di una visione del mondo fondata sulla laboriosità e sulla rispettabilità. A Venezia esisteva dunque un vasto pubblico borghese, che trovava diletto nel vedersi rappresentato sul palcoscenico.

Commedie "di carattere" e commedie "d'ambiente"[modifica]

Il contesto in cui i personaggi sono inseriti è concreto e ben delineato al pari della loro individualità, sulla quale peraltro incide. Secondo Goldoni i sentimenti, i vizi, le virtù e i comportamenti degli individui sono differentemente determinati a seconda dell'ambiente in cui questi si trovano a operare. Le commedie goldoniane ricostruiscono anche diversi ambienti sociali, delineati al pari degli individui. Ad esempio, nella prefazione alla commedia La donna prudente, egli sostiene che la gelosia sia un passione comune a tutti gli uomini, ma che si manifesti in modi diversi a seconda del ceto sociale. Tra le commedie, si sogliono distinguere (in maniera astratta e puramente convenzionale) le commedie di carattere, tese a delineare un personaggio, e le commedie d'ambiente, volte a descrivere un particolare ambito della vita sociale. Tuttavia, la distinzione è puramente quantitativa, essendo che le commedie sono tutte sia di carattere sia d'ambiente. La locandiera, ad esempio, è classificata come commedia di carattere, ma allo stesso tempo dipinge un ambiente sociale ben definito. Anche questo rapporto individuo-ambiente costituisce un'anticipazione del Realismo letterario, rendendo inoltre le commedie goldoniane un fenomeno vivamente risaltante sulla letteratura arcadica settecentesca, chiusa nella propria frivolezza. Si noti, però, che la rappresentazione goldoniana della realtà manca della profondità propria del realismo ottocentesco (Manzoni, Verga...) per fermarsi piuttosto alla superficie dei fenomeni, senza cogliere i grandi conflitti che turbano le coscienze o minacciano di lacerare il tessuto sociale. La commedia di Goldoni ha anche forti affinità con la commedia borghese, nata in seno all'Illuminismo europeo: in particolare, come nota Giuseppe Petronio, con il "genere serio" teorizzato e praticato da Diderot (genere in posizione mediana tra la vecchia tragedia e la vecchia commedia).

Il significato e i modi della riforma[modifica]

Goldoni tendeva a presentare i suoi lavori come la restituzione della dignità all'arte teatrale, dopo il "secolo buio" del Barocco. Tuttavia, tale schema interpretativo non è per noi più accettabile. La Commedia dell'Arte non è il "cattivo" teatro e la commedia goldoniana non è il "buon" teatro: si tratta, semplicemente, di due diverse concezioni della stessa arte rispondenti a due diverse civiltà, quella barocca e quella illuministica e borghese. La riforma che egli portò avanti non fu né avrebbe potuto essere repentina, essendo gli attori ancora abituati a recitare secondo i canoni della Commedia dell'Arte ed essendo il pubblico ancora abituato a quel tipo di comicità. Di conseguenza, da principio gli stessi impresari guardavano con sospetto alla commedia "nuova". Goldoni riuscì pazientemente a superare questi scogli. Tale superamento si svolse per tappe graduali: all'inizio, solo la parte del protagonista fu stesa per intero, lasciando il resto all'improvvisazione (vedi il Momolo cortesan del 1738, poi divenuta L'uomo di mondo). Nel 1743 l'autore compose la prima commedia nella quale tutte le parti erano scritte (La donna di garbo). Fino a questo punto, le maschere venivano ancora conservate, ma stavano subendo una trasformazione dall'interno (si veda, ad esempio, Pantalone trasformato nel mercante veneziano). Successivamente, le maschere vennero messe del tutto da parte. C'era, però, un altro ostacolo all'affermazione del teatro realistico goldoniano, ed erano i suoi frequenti intenti di critica sociale. La Serenissima nel frattempo decadeva, l'oligarchia governante diffidava di ogni novità e si batteva per mantenere l'assetto allora vigente: per rappresentare i vizi della nobiltà senza incorrere nella censura, Goldoni era costretto ad ambientare le sue commedie in altre città (ad esempio La locandiera, ambientata a Firenze). La commedia goldoniana differiva dalla Commedia dell'Arte anche per intento: a differenza di quest'ultima, orientata al puro intrattenimento, essa aveva il fine di correggere i vizi e proporre modelli di virtù. Infine, non va dimenticata la questione della lingua: se nella recitazione delle maschere si mescolavano i più diversi dialetti, Goldoni sceglie invece un unilinguismo riproducente la conversazione ordinaria, ricco di "molte frasi e voci Lombarde".

L'itinerario della sperimentazione goldoniana[modifica]

La riforma della commedia passò attraverso fasi e tematiche anche assai diverse tra loro. Vedremo qui di analizzarle.

Prima fase (con la compagnia Medebac, dal 1748 al 1753): l'elogio del mercante veneziano[modifica]

Goldoni rende un ampio spaccato di vita borghese a partire dall'analisi di un campione piuttosto ristretto, quello della società veneziana a lui contemporanea. Il personaggio attorno al quale ruotano le commedie di questa frase è il mercante veneziano, figura portatrice di valori cari all'autore: sincerità, schiettezza, senso della socialità, fedeltà agli impegni, attaccamento alla famiglia e all'onore e senso dell'economia; e ciò già dai primi testi, ancora al confine con la Commedia dell'Arte (il Momolo cortesan del 1738 e La bancarotta del 1741). Va da sé che in questo modo si evidenzi il contrasto con la nobiltà arrogante e improduttiva, contro la quale è diretta la critica, sia pure non feroce, di Goldoni. Tale contrapposizione è evidente in testi come La putta onorata (1748-49), La buona moglie (1749), La famiglia dell'antiquario (1749), Il cavaliere e la dama (1749). Le maschere sono ancora parzialmente conservate e i nuovi contenuti realistici sono calati entro intrecci ancora tradizionali, sebbene questi divengano man mano meno contorti e più lineari e verosimili. Evitando complicazioni e imprevisti artificiosi, la commedia pare "fatta di nulla", incentrata su persone, ambienti e conversazioni usual e comuni. Tuttavia, la struttura della commedia si fa corale e ogni personaggio diviene importante relativamente alla rete di rapporti entro la quale si trova ad agire.

Seconda fase (1753-1758): incertezza ed eclettismo[modifica]

Il passaggio al teatro San Luca segna un momento di difficoltà per Goldoni: la sala è molto più vasta (quindi meno adatta ad allaestirvi scenari di interni borghesi), Vendramin è un impresario col quale non è facile trattare, gli attori sono meno noti e qualificati e, infine, la polemica con i rivali (in particolare con Chiari) si fa sempre più aspra. Il problema maggiore è però il pubblico, che dopo un iniziale apprezzamento nei confronti della commedia del "ragionevole" e del "verisimile" sembra aver fatto un passo indietro, tornando a prediligere storie fantasiose e spesso intrise di esotismo (quali erano quelle proposte da Chiari e Gozzi). Risalgono a questo periodo i testi più romanzeschi e rispondenti al puro desiderio d'evasione del pubblico. Tra questi, si ricordi la "trilogia persiana": La sposa persiana (1753), Ircana in Iulfa (1755) e Ircana in Ispaan (1756). Nelle commedie "di carattere", di cui pure continua la produzione, l'autore sostituisce al mercante una galleria di personaggi "tarati, infermi, maniaci, in preda ai tic più impensati", "le cui follie si accumulano commedia dopo commedia come segni inequivocabili di una grande nevrosi di una società in decadenza" (Baratto). I titoli bastano a confermare tutto ciò: I puntigli domestici, La donna vendicativa, La donna di testa debole, Il vecchio bizzarro, La donna stravagante, Lo spirito di contraddizione, La donna bizzarra. A questi personaggi manca la qualità fondamentale della socievolezza, sono figure nevrasteniche e misantrope, forse specchio delle crisi nervose di cui l'autore soffriva in questi anni. Non mancano anche commedie di ambiente popolare, come Le massère (1755), Il campiello (1756) o Le morbinose (1758). Queste commedie corali, nelle quali emerge una certa simpatia verso un popolo vitale e spontaneo, costituiscono un'anticipazione de Le baruffe chiozzotte, uno dei testi più importanti.

Terza fase (1759-1762): la maturità[modifica]

Dopo un viaggio a Roma, Goldoni ritrova, per così dire, se stesso. Egli torna al suo vecchio oggetto, la borghesia veneziana, ma con occhio mutato. Nella seconda metà del secolo, infatti, questo ceto attraversa una grave crisi, dato che la perdita dei possedimenti veneziani d'oltremare aveva inferto un duro colpo al commercio. Appariva conseguentemente preferibile dedicarsi ad attività interne, come l'agricoltura (ma non in maniera capitalistica), protetti da una politica protezionistica e da alte tariffe doganali. Al dinamismo succede l'inerzia, il mercante veneziano è un eroe sconfitto. Prende il sopravvento la gretta difesa del proprio interesse, la chiusura sospettosa verso il nuovo, la trasformazione delle virtù borghesi in vizi: il senso dell'economia diventa avarizia, la difesa dell'onore mera superbia, la puntualità cieca ostinazione.

«All'avarizia i ghe dise economia, alla superbia i ghe dise punto d'onor, e all'ustinazion parola, pontualità»

(Sior Todero brontolon)

La base sociale dell'ottimismo goldoniano è venuta meno. Al mercante aperto e illuminato, capace di seguire il buon senso e contemporaneamente di affermare la propria visione del mondo, si sostituisce la figura del "rustego". È un individuo meschino, gretto, conservatore, preoccupato solo del proprio tornaconto, lodatore di una fantomatica aurea aetas passata, ottusamente autoritario e incapace di comprendere le esigenze dei suoi tempi. Con il "rustego" si scontrano i giovani e le donne, rivendicanti il diritto a una vita svincolata dall'oppressivo ambiente familiare. Tra i testi esemplari di quanto affermato, si ricordino I rusteghi (1760) e Sior Todero brontolon (1762). Esemplari della critica contro il difetto opposto, l'eccessiva ostentazione e la voglia di apparire (anche a costo di giungere alla rovina finanziaria) della borghesia, sono la Casa nova (1760) e la "trilogia" della villeggiatura (Le smanie della villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura), del 1761. Esiste una seconda interpretazione di questa svolta goldoniana, quella offerta da Giuseppe Petronio: nella sua prima fase Goldoni idealizzerebbe il tipo del mercante e rappresenterebbe una borghesia quale dovrebbe essere, mentre in quest'altra fase si limiterebbe a rappresentare fedelmente la realtà. Comunque sia, da un mondo così opprimente Goldoni pare voler uscire con la riscoperta del popolo già preannunciata nella fase precedente. Risalgono al 1762 le Baruffe chiozzotte, nelle quali egli rappresenta la vita dei pescatori di Chioggia (coi quali aveva avuto a che fare in gioventù). Ai suoi occhi, il popolo conserva quello che la borghesia ha perso: senso della socialità, genuinità di sentimenti, apertura alla vita. I valori prima attribuiti alla borghesia resistono nel popolo (schiettezza, laboriosità, senso della famiglia e dell'onore). Questa attenzione a un popolo "vero" risalta clamorosamente sul contesto letterario arcadico dell'epoca. Va però ricordato che Goldoni mette in scena solo schermaglie sentimentali, ripicche o pettegolezzi, guardati con occhio paternalistico e bonario. Le Baruffe si svolgono in un clima ancora fondamentalmente idillico; il popolo rappresentato è lontano da quello che sarà reso, per esempio, da Verga.

Quarta fase (1762-1793): il periodo parigino[modifica]

La partenza di Goldoni per Parigi può essere considerata la presa di coscienza della sconfitta delle sue convinzioni riguardo alla borghesia veneziana, immeschinita e immiserita. Il pubblico francese era però ancora abituato alla Commedia dell'Arte: nell'impossibilità di approfondire la psicologia del carattere, egli si trova a dover costruire commedie calibratissime dal punto di vista dell'intreccio, come Il ventaglio (1765), intessuta di equivoci, fraintendimenti e scambi di persona. Un ritorno al "carattere" è rappresentato da Le bourru bienfaisant (Il burbero benefico, 1771, scritta in francese). Il rapporto carattere-ambiente è però totalmente assente, il carattere si trova isolato. È finita l'epoca dei "rusteghi". Trascorre gli anni della vecchiaia scrivendo i Mémoires (1783-87), autobiografia artistica redatta in francese. Colpisce che, nella ricostruzione a posteriori, la riforma della commedia appaia come un percorso lineare e coerente, quando noi sappiamo che fu piuttosto il contrario. Il libro si appesantisce talvolta di elenchi e riassunti di commedie, ma è anche ricco di spunti vivaci e figure finemente abbozzate: per esempio, nella scena dell'incontro con Vivaldi, per il quale adattò un'opera che il musicista voleva far cantare al suo contralto prediletto, Anna Girò (parzialmente riportata qui sotto) o in quella dell'incontro con Rousseau a Parigi.

«Mi guardò egli in un sorriso compassionevole, e preso in mano un libretto: "Ecco" dice "ecco il Dramma che si dee accomodare: la Griselda di Apostolo Zeno. L'opera - soggiunse - è bellissima: la parte della prima Donna non può essere migliore... ma ci vorrebbero certi cambiamenti... Se Vossignoria sapesse le Regole... Basta; non le può sapere. Ecco qui per esempio, dopo questa scena tenera vi è un'aria cantabile; ma come "la Signora Annina non... non... non... non ama questa sorte di Arie" (cioè non le sapeva cantare), qui ci vorrebbe un'aria d'azione... che spiegasse la passione, ma che non fosse Patetica, che non fosse cantabile". "Ho capito - risposi io - "ho capito, procurerò di servirla. Mi favorisca il libretto". "Ma io", riprende il Vivaldi, "ne ho di bisogno: non ho finito i recitativi, quando me lo renderà?" "Subito" - dico - "mi favorisca un pezzo di carta, ed un calamaio" "Che? Vossignoria si persuade, che un'aria di un'Opera sia come quella degl'intermezzi!" Mi venne un poco di collera, e gli replicai con faccia tosta: "Mi dia il calamaio", e tirai di tasca una lettera, stracciando da quella un pezzo di carta bianca. "Non vada in collera" - mi disse modestamente - "favorisca, si accomodi qui a questo tavolino. Ecco la carta, il calamaio e il libretto, faccia a suo comodo": e torna allo scrittoio, si mette a recitar il breviario. Leggo allora attentamente la scena; raccolgo il sentimento dell'aria cantabile, e ne faccio una d'azione, di passione, di movimento. Gliela porto, gliela faccio vedere, tiene colla dritta il breviario, colla sinistra il mio foglio, legge piano; e finito di leggere, getta il breviario in un canto, si leva, mi abbraccia, corre alla porta, chiama la signora Annina. Viene la signora Annina, e la signora Paolina Sorella: legge loro l'arietta, gridando forte: l'ha fatta qui, qui l'ha fatta, l'ha fatta qui!" e nuovamente mi abbraccia, e mi dice bravo e sono diventato il suo Caro, il suo poeta, il suo confidente, e non mi ha più abbandonato. Ho poi assassinato il Dramma del Zeno quanto e come ha voluto.»

(Carlo Goldoni - Memorie, nuova ed. Mondadori 1993)

Sono considerate opera autobiografica anche le Memorie italiane, l'insieme delle prefazioni ai 17 volumi delle Opere nell'edizione Pasquali, nelle quali lo scrittore racconta le vicende della propria vita in rapporto al teatro fino al 1743.

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