''La Pioggia nel Pineto'' di Gabriele D'Annunzio (superiori)

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''La Pioggia nel Pineto'' di Gabriele D'Annunzio (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Italiano per le superiori 2
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%
Una strofa tratta dalla copia originale

La pioggia nel pineto è una lirica composta fra luglio e agosto 1902 dal poeta Gabriele D'Annunzio nella celebre Villa La Versiliana dove abitava immerso nel verde della pineta della Villa a Marina di Pietrasanta in Versilia.

Quest'opera appartiene all' Alcyone, una raccolta di poesie del D'Annunzio scritte tra il giugno del 1899 e il novembre del 1903.

L'Autore[modifica]

Gabriele D'Annunzio, autore della lirica

Gabriele D'Annunzio, all'anagrafe Gabriele d'Annunzio, nome con cui usava firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale, dal 1924 insignito del titolo di "principe di Montenevoso".

Soprannominato "il Vate", cioè "poeta sacro, profeta", cantore dell'Italia umbertina, o anche L'immaginifico, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana […]» e come politico lasciò un segno nella sua epoca e un'influenza sugli eventi che gli sarebbero succeduti.

Il Testo[modifica]

«Taci. Su le soglie del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.»

Il Contenuto del Testo[modifica]

Il Taci iniziale della poesia è un invito a creare l'atmosfera di silenzio e di ascolto e, attraverso questa onomatopea, le cose, viste o toccate sono ricondotte essenzialmente al loro suono. Il poeta si trova a Marina di Pietrasanta con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo.

Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali.

Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, ai versi 52-61, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell'ultima strofa, a partire dal verso 97, dove D'Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d'acqua, i denti alle mandorle.

Questa meravigliosa trasformazione, questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda è la "favola bella". Una favola perché si tratta di un'illusione momentanea, ma bella perché questo senso di comunione perfetta con la natura è fonte di serenità e di gioia. I temi principali della poesia, infatti, sono tre:

  • la pioggia
  • la trasformazione o metamorfosi
  • l'amore

Ogni strofa termina con il nome della donna, Ermione, riferimento classico come quasi per rendere immortale la sua donna. Ermione (che nella realtà era l'attrice Eleonora Duse) è un nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena, moglie di Menelao e causa della guerra di Troia. La poesia si conclude riprendendo i versi che chiudevano la prima strofa:

«che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.»

L'Analisi del Testo[modifica]

La Struttura del Testo[modifica]

La poesia è composta da 128 versi divisi in 4 strofe.

I versi sono totalmente liberi, ossia non rispettano un preordinato numero di sillabe, tuttavia è stato notato che ricorrono spesso i ritmi: ternario (tre sillabe), il senario (sei sillabe) e il novenario (nove sillabe). I versi sono anche sciolti, perché non seguono uno schema metrico fisso di rime, anche se esse sono presenti, nelle loro diverse tipologie. Il poeta dà un'immagine raffinatissima e suggestiva di un'atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, "piove" e "ascolta", in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D'Annunzio in particolare), per creare la suggestione di una musica. Le strategie tecniche che utilizza per creare musicalità e suggestione sono varie e diversificate e il linguaggio risulta molto ricercato e raffinato.

L'autore spezza i legami sintattici e crea una sequenza di effetti sonori con le rime, variamente disposte, le assonanze, le onomatopee e le similitudini. Si notano, infatti, già nella prima strofa diversi tipi di rime:

Tipi di rime presenti nella prima strofa
Rime sparse soglie / foglie dici / tamerici pini / divini
Rime alternate odo / odo sparse / arse volti / folti
Rime baciate irti / mirti accolti / folti silvani / mani
Rima incrociata fulgenti / accolti - folti / aulenti
Rima interna allo stesso verso e varia nell'aria più rade men rade al pianto il canto

Le Figure Retoriche[modifica]

Nella lirica sono presenti le seguenti figure retoriche:

  • onomatopee (figura retorica che consiste nell'imitazione parziale da parte della sequenza fonica del lemma, del suono di cui il lemma stesso esprime il significato, come ad esempio "crepitio");
  • anafore (l'iterazione di "ascolta" e di "piove");
  • similitudini (paragoni del tipo "è molle di pioggia come una foglia");
  • enjambement;
  • sineddoche;
  • apostrofe;
  • anticlimax;
  • sinestesia;
  • allitterazione;
  • personificazione;
  • epizeusi.