Allevamento intensivo

Da Wikiversità, l'apprendimento libero.
lezione
lezione
Allevamento intensivo
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Produzioni animali

Con allevamento intensivo o allevamento industriale (factory farming) si intende una forma di allevamento che utilizza tecniche industriali e scientifiche per ottenere la massima quantità di prodotto al minimo costo e utilizzando il minimo spazio, tipicamente con l'uso di appositi macchinari e strutture. La pratica dell'allevamento intensivo è estremamente diffusa in tutti i paesi sviluppati; la gran parte della carne, dei prodotti caseari e delle uova che si acquistano nei supermercati viene prodotta in questo modo.

Caratteristiche dell'allevamento intensivo[modifica]

L'allevamento intensivo è una pratica che si è diffusa nel XX secolo (in Italia soprattutto a partire dal secondo dopoguerra) con lo scopo di soddisfare la crescente richiesta di prodotti di origine animale (in particolare carne, uova e latticini) abbattendone al contempo i costi, in modo da rendere questa categoria di prodotti adatta al consumo di massa. Se la riduzione dei costi e la possibilità di produrre su scala industriale erano inizialmente gli unici fattori a influire sulle modalità e le tecniche impiegate nell'allevamento intensivo, in seguito queste sono state sottoposte a un continuo processo di revisione in funzione di considerazioni come la tutela degli animali, l'igiene e la qualità dei prodotti, l'impatto ambientale e via dicendo. Di conseguenza, le caratteristiche dell'allevamento intensivo sono cambiate nell'arco del XX secolo, e possono presentare differenze anche notevoli fra diversi paesi. Per esempio, le normative europee introdotte a partire dagli anni '90 vietano esplicitamente molte pratiche ancora largamente in uso negli Stati Uniti.

Alcuni elementi comuni alla maggior parte degli allevamenti intensivi sono i seguenti:

  • Gli animali siano trattenuti in spazi più o meno ristretti, allo scopo di massimizzare l'uso dello spazio disponibile e semplificare le operazioni di nutrimento e cura.
  • Gli animali sono in gran numero.
  • Le condizioni fisiche degli animali, incluso il loro stato di salute, vengono tenute sotto controllo sia attraverso misure igieniche che eventualmente per mezzo di farmaci.
  • L'alimentazione degli animali viene ugualmente controllata in funzione delle caratteristiche (costo, qualità) del prodotto finale da ricavare.

Produttività[modifica]

Bestiame statunitense e indiano (bovini e bufali) (1972)[1]
Descrizione Materia
(1010 kg)
Energia
(1012 calorie)
Proteine
(109 kg)
Usa India Usa India Usa India
Fattori produttivi (immissioni)
Commestibili
dall'uomo
11,9 0,68 38,6 1,7 16,0 2,1
Non commestibili
dall'uomo
22,2 40,00 88,0 120,5 25,1 33,3
Totale 34,1 40,68 126,6 122,2 41,1 35,4
Prodotti (emissioni)
Lavoro 6,50
Latte 1,12 0,51 5,04 2,09 2,06 0,88
Carne 0,90 0,50 4,40 2,23 0,17 0,11
Pelli 0,11 0,07
Concime 0,87 10,81 16,16
Totale 3,00 11,89 9,44 26,98 2,23 0,99
Efficienza (%) 9 29 7 22 5 3

L'allevamento intensivo si inserisce nel filone della rivoluzione verde perché ne condivide i principi, a partire dalla ricerca della massima produzione di pochi prodotti facilmente vendibili sul mercato o esportabili, oltre alla conseguente separazione dei singoli momenti produttivi (preferita a un approccio integrato), e ne dipende quindi per come si alimenta, nel senso che negli allevamento intensivi gli animali sono nutriti con mangime industriale da monocolture spesso importato, in genere soia (spesso geneticamente modificata).

La tabella a fianco è utile per confrontare due tipi di allevamento completamente diverso: quello industriale tipico, per gli USA, e uno tradizionale, per l'India. La prima differenza che si nota è proprio l'alimentazione degli animali: negli USA si dà agli animali cibo che sarebbe adatto anche agli uomini (soia, granturco ecc.), prodotto appositamente, e poco cibo non commestibile, che invece è preponderante in India, dove si sfruttano gli «scarti» della produzione agricola (fieno e paglia) e agroforestale. La differenza dipende dal modello agricolo: le varietà ad alta resa negli USA riducono la produzione di fieno per le mandrie, che vanno quindi nutrite con colture apposite; in India le varietà indigene producono sia cibo per l'uomo sia cibo per gli animali.

Dai prodotti è evidente il diverso obiettivo dei due modelli di allevamento: data una partenza circa uguale in termini di massa ed energia, gli allevamenti USA producono circa il doppio di latte e carne; in India la carne di bovino non ha rilevanza alimentare (le mucche sono considerate sacre e non possono essere uccise, e anche per questo hanno una vita molto più lunga di quelle statunitensi e danno quindi meno carne). In compenso, in India l'allevamento è integrato coll'agricoltura e gli animali servono a coltivare i campi, sia grazie al lavoro che svolgono sia grazie al concime che producono, e inoltre forniscono energia perché gli escrementi essiccati sono usati anche come combustibile; le voci corrispondenti per gli USA sono nulle o quasi, e vanno perciò compensate con combustibili fossili e fertilizzanti chimici. Il trattamento dei reflui zootecnici, di cui si parla sotto, potrebbe inserire il recupero degli escrementi come concime e fonte energetica anche negli allevamenti industriali

In entrambi i casi si ha una forte perdita di massa ed energia, come ovvio, per ottenere prodotti più pregiati (in particolare nel caso statunitense, dove la produzione è massima per carne e latte), colla differenza che nel caso indiano non solo la perdita (in termini quantitativi) è minore, ma si parte anche da immissioni meno pregiate, che anzi per i criteri della rivoluzione verde sono solo scarti (soprattutto da fieno e paglia), al contrario di mangimi, fertilizzanti e combustibile necessari per il funzionamento del modello statunitense. Questa considerazione porta Vandana Shiva a parlare (provocatoriamente) dell'allevamento e in generale dell'agricoltura integrata indiana come della più efficiente ed evoluta del mondo.[2]

Aspetti critici[modifica]

La pratica dell'allevamento intensivo è oggetto di numerose critiche di ordine etico, salustistico e ambientalista. Alcune di queste critiche sono rivolte contro l'allevamento intensivo in quanto tale; altre sono relative a determinate pratiche o tecniche che vengono utilizzate solo in certi contesti (per esempio solo in certi paesi, o solo per certi tipi di animali).

Benessere degli animali[modifica]

Le critiche di carattere generale provengono principalmente dal mondo animalista. Molti animalisti sostengono che negli allevamenti intensivi le condizioni di vita degli animali sono sensibilmente peggiori di quelle degli animali allevati in modo tradizionale. I movimenti animalisti hanno attaccato diverse pratiche in uso negli allevamenti, alcune delle quali sono state in seguito rese illegali in alcuni paesi. Per esempio, sono stati denunciati casi in cui gli animali subivano regolarmente amputazioni (come il debeaking), venivano cresciuti in ambienti talmente ristretti da causare atrofia muscolare, erano tenuti al buio per tutta la vita, e via dicendo.

Igiene e salute[modifica]

Sebbene gli allevamenti intensivi siano teoricamente adatti a conservare un maggiore livello di igiene rispetto al caso di animali cresciuti in natura, esiste il rischio che un uso eccessivo di farmaci (per esempio antibiotici) porti al diffondersi di nuove forme di batteri resistenti a tali medicinali. Il Center for Disease Control and Prevention statunitense stima che nel mondo, ogni anno, ci siano oltre 76 milioni di casi di malattie portate dal cibo da allevamento, e oltre 5000 morti.

A prescindere dall'eventuale diffondersi di malattie, molti critici sostengono che la qualità delle carni e degli altri prodotti realizzati tramite allevamento intensivo è di qualità inferiore rispetto a quello ottenuto con tecniche tradizionali, per vari motivi legati alla differente alimentazione e al diverso stile di vita degli animali stessi. Particolarmente criticato in questo senso è l'uso di farmaci volti a indurre lo sviluppo corporeo degli animali (per esempio ormoni).

Anche l'alimentazione degli animali degli allevamenti intensivi è stata spesso oggetto di attenzione e critiche. Per esempio, l'uso di farine di origine animale per nutrire le vacche è stato considerato fra le cause della diffusione del morbo della mucca pazza.

Impatto ambientale[modifica]

I rifiuti provenienti da enormi quantità di animali concentrati in aree relativamente piccole possono causare inquinamento delle falde acquifere, polvere, insetti e cattivi odori nella zona circostante. I reflui (o effluenti) zootecnici sono ricchi di elementi come l'azoto e il fosforo e la loro dispersione nell'ambiente può pertanto causare gravi danni, come l'eutrofizzazione.[3] Per risolvere questo problema vanno depurati, ma se a questo scopo si usa la digestione anaerobica con cogenerazione del biogas i costi possono essere quasi annullati, grazie alla produzione di elettricità e concimi.

Al contempo, le attività legate all'allevamento su grande scala possono causare un depauperamento delle risorse naturali del territorio (soprattutto acqua, anche per i grandi consumi del lavaggio delle stalle).

Inoltre, l'allevamento intensivo viene considerato essere una delle concause del riscaldamento globale, fra l'altro per la deforestazione che si rende necessaria per estendere le monocolture dei mangimi (spesso, nei casi del granturco e della soia, geneticamente modificati).

Impatto economico[modifica]

Soprattutto (ma non solo) quando applicato nei paesi del Terzo Mondo l'allevamento intensivo causa la rapida scomparsa dell'allevamento tradizionale, con conseguenze sul livello di occupazione della zona. Inoltre, su scala globale, la produzione di carne e altri cibi di origine animale comporta un uso del terreno molto meno efficiente rispetto all'agricoltura; questo dato riguarda tuttavia l'allevamento in generale e non in particolare quello intensivo (che anzi, per definizione, fa un uso più efficiente delle risorse).

Normative europee[modifica]

L'Unione Europea è intervenuta più volte legiferando in materia di allevamento intensivo. Fra l'altro:

  • L'uso di farmaci è soggetto a una precisa regolamentazione; per esempio, gli antibiotici possono essere impiegati solo in caso di malattia dell'animale, e la somministrazione di ormoni è vietata.
  • I reflui aziendali sono soggetti a rigidi regolamenti, volti a ridurre l'impatto ambientale (vedi ad esempio la direttiva nitrati).
  • Diverse norme relative al benessere animale hanno lo scopo di impedire forme di trattamento degli animali giudicate particolarmente crudeli, come certi tipi di amputazioni o la costrizione in ambienti eccessivamente ristretti.
  • Sia le condizioni igieniche degli stabilimenti che l'alimentazione degli animali sono soggetti a restrizioni.

Note[modifica]

  1. B. Leon, Agriculture: A Sacred Cow, Environment, XVII, 1975; Shiva 1995, p. 131.
  2. Per tutta questa parte si veda in particolare Shiva 1995, pp. 129 sgg.
  3. Marina Zenobio, Polli a dieta contro l'eutrofizzazione, il manifesto, 17 agosto 2007, p. 17.

Bibliografia[modifica]

  • Vandana Shiva, Monocolture della mente (1993), traduzione di Giovanna Ricoveri, Bollati Boringhieri, 1995. ISBN 8833909182

Voci correlate[modifica]